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Area – 1946: il voto alle donne. Sessant’anni ma non li dimostra

Nel  1945 il decreto luogotenenziale n.23 riconosceva alle donne il diritto di voto e di eleggibilità. Il 2 giugno 1946 il voto femminile entrava in vigore e le donne italiane votavano, per la prima volta, per l’assemblea costituente e per il referendum istituzionale.
Al di là delle ricorrenze, il sessantesimo anniversario del voto alle donne  ci ricorda  che nelle prime elezione furono elette 44 donne su un totale di 573 tra deputati e senatori, ossia il 6,3% e che oggi, nel Parlamento nazionale, la percentuale femminile supera di poco il 10%.

La pratica elettiva ha – dunque – sessant’anni,  ma non li dimostra; né nella presenza delle donne nelle Istituzioni politiche né nella loro partecipazione alla politica. L’Italia, infatti, è superata  per la presenza delle donne nei luoghi della decisione politica, da tutti gli altri paesi dell’Unione Europea a quindici. Consideriamo, inoltre – e lo ha fatto la recente ricerca condotta dall’ISTAT, in convenzione con la Commissione Pari opportunità tra uomo e donna, su “Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere” – che l’andamento della presenza femminile nel Parlamento italiano descrive una curva ad “U”, “passando dal 7,7% del 1948 all’8,7% del 1979, attraverso il minimo storico del 2,8% (1963 e 1968)”. Nelle legislature seguenti   – anche per effetto dell’introduzione dell’alternanza uomo –donna nel proporzionale e del sistema delle “quote” – l’andamento è più discontinuo, con il primato del 1987 che porta il 13%di elette e l’ apice del 1994 con quasi il 15%, mentre nel 1996 tale percentuale scende all’11%. Nelle ultime due legislature – avverte anche la Ricerca ISTAT – la presenza delle donne diminuisce e nel 2001 è appena dell’11,5% alla Camera e l’8,1% al Senato.

La modifica dell’Art. 51 della Costituzione (legge n.1/2003) che ha favorito l’introduzione di almeno un 30% di genere rappresentato nella composizione delle liste elettorali (legge n.90\2004) per le elezioni europee , ha influito anche nelle successive tornate elettorali amministrative del 2004 e del 2005 e doveva rivelarsi determinate nelle politiche 2006. La vexata questione delle cosiddette “quote rosa” e le sue alterne vicende parlamentari sono a tutti note , come la  conclusione – sia pure temporanea – che vede le “norme rosa” passare al Senato ma non avere i tempi tecnici della legislatura per approdare alla Camera. In assenza di “quote” prestabilite, le formazioni politiche si sono “arrangiate” secondo  coscienza e, complessivamente e trasversalmente, la composizione delle liste – divenuta di fondamentale importanza con la riforma elettorale,il ritorno al proporzionale e l’assenza dei voti di preferenza – appare, seppure lontana da una equazione paritaria (il 50%) e neanche equilibrata (33%), comunque meno deficitaria nella  composizione e quindi nella rappresentanza di genere.

Se un effetto positivo è stato indotto dall’estenuante dibattito politico e istituzionale sulle “quote” e sulla presenza delle donne in politica è, forse, quello di aver posto l’accento più sul concetto della rappresentanza (da equilibrare e da rinnovare) che su quello di genere come meritevole di un trattamento speciale e premiale.

Il ritardo storico registrato nell’ottenimento del diritto di voto femminile continua, nel nostro Paese, a produrre i suoi effetti anche nella distanza; e – si sosteneva prima – sessant’anni non li dimostra, né nella presenza delle donne nei luoghi istituzionali  della politica (ancor meno, poi, nei vertici decisionali) ma neanche nella partecipazione femminile alla vita politica ed al sistema dei Partiti. E’ e resta controverso il rapporto donne-politica, ed  il dibattito si polarizza nell’antitesi tra la presunta vocazionale estraneità delle donne alla politica, al potere ed alla cosiddetta sfera pubblica da un lato e le forme di esclusione e di discriminazione delle donne nei meccanismi della politica dall’altro. Non pretendiamo qui di afferrare il bandolo dell’intricata matassa – che, per altro, riteniamo questione cruciale, da affrontare senza pregiudizi e con approccio storico di analisi e di studio sistemico – sulle donne marginalizzate o autoescluse dalla politica ma vogliamo solo ricordare che tutte le rilevazioni in materia sottolineano come le donne si impegnino maggiormente nelle forme associative e nelle questioni sociali. E, non ultima  la citata Ricerca ISTAT, affronta questo nodo,  analizzando  “I diversi modi di rapportarsi alla politica delle donne” e, valutando l’emersione di sei gruppo differenti e fortemente caratterizzati di partecipazione politica e sociale delle donne: “le escluse dalla politica”- secondo la Ricerca curata da Linda Laura Sabbadini – sarebbero il 35,6% del totale considerato; il gruppo di quelle che “Si informano ma non partecipano” sarebbe quasi pari a quello precedente con il suo 34.5% del totale; il gruppo de “Le lavoratrici adulte che seguono con continuità la politica” rappresenta il 17,4% e coinvolge  4 milioni 535 mila donne; mentre il quarto gruppo delle “donne dell’area del volontariato e dell’associazionismo culturale” sarebbero il 6,7%; il gruppo delle “libere professioniste, dirigenti, impiegate iscritte ed impegnate nelle loro associazioni di categoria  o sindacali”, sono pari al 4% e nel gruppo delle “militanti de partiti  e dei sindacati” troviamo concentrate solo l’1,8% del totale pari a circa 463mila donne.

E pure se, come nota M. Barbagli, la partecipazione politica è un fenomeno multidimensionale che si esprime a diversi livelli di partecipazione, istituzionalizzata e non, visibile ed invisibile (Cfr, Rapporto sulla situazione sociale a Bologna, Bologna, Il Mulino, 1995), si evince che quella femminile non  è una partecipazione massiccia; e che, comunque, va contestualizzata anche con il più generale processo di “disincantamento” verso i meccanismi della politica che si esprime, in termini quantitativi, con l’astensionismo che, in Italia, sebbene non abbia conosciuto i livelli elevati di altri Paesi europei è cresciuto progressivamente negli ultimi tre decenni.  Solo un dato: dal 6,6%  delle politiche del 1976 al 18,6% degli aventi diritto al voto nelle ultime consultazioni del 2001 (fonte Istat); se si considera, e lo ha fatto la Ricerca ISTAT in oggetto, l’astensionismo in un’ottica di genere, emerge che “tendenzialmente le donne – che costituiscono il 52% della popolazione – sono sempre andate a votare in misura inferiore rispetto agli uomini.”e  l’incremento dell’astensionismo femminile  sembra accompagnare tutte le tornate elettorali,  ad eccezione della penultima e dell’ultima che avrebbero segnato una lieve inversione di  tendenza,   “con il riavvicinamento del divario dovuto alla maggiore crescita delle astensioni maschili” ed anche al calo dell’astensionismo femminile.

Anche l’Eurispes ha sondato – presentando i risultati l’8 marzo scorso – l’opinione degli Italiani in merito alla questione delle pari opportunità ed anche alle “quote rosa”   ed alla presenza delle donne in politica; il 54% degli Italiani – sostiene l’Istituto di ricerca – ritiene che le donne in politica siano discriminate, di cui: per il 21,9%  perché l’impegno politico è difficilmente conciliabile con i carichi familiari,  per l’11,5% perché le  donne non sono interessate alla politica e  solo per il 7,4% perché le donne non sono sufficientemente preparate. Inoltre, il 66% degli intervistati dall’Eurispes si dichiara favorevole all’introduzione di quote rosa, come unico strumento per garantire la presenza femminile in politica; il 16,1% è in disaccordo in quanto ritiene che le donne debbano conquistarsi le cariche al pari degli uomini, mentre il 14% è sfavorevole perché convinto che non sia attraverso un’imposizione di tipo legislativo che si possono creare le pari opportunità.

Comunque la si voglia formulare e qualunque sia la “latitudine” dell’opinione in merito, sta di fatto che  dopo sessant’anni di voto femminile e di storia di “donne della repubblica” – come titola  il progetto nazionale promosso dal Comitato per le Celebrazioni del voto alle donne –  il cammino delle donne sulla strada delle politica appare tutt’altro che concluso e che tra donne ed istituzioni continua ad intercorrere un rapporto  critico che non coincide pienamente con gli oggettivi avanzamenti riscontrabili nei vari contesti della società.

Sessant’ anni tra acquisizioni e rinunce,tra  affermazioni e criticità, tra luci ed ombre; sessant’anni e – appunto – non li dimostra ma, per fortuna, la storia continua.

Isabella Rauti

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