Resoconto stenografico in corso di Seduta
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.
RAUTI (FdI). Signor Presidente, la Conferenza sul futuro dell’Europa è stata proposta nel 2019 e avrebbe dovuto iniziare i lavori il 9 maggio 2020 ma, a causa della pandemia, è stata rinviata al 9 maggio 2021. I suoi lavori sono durati un anno e si dovrebbero concludere appunto il 9 maggio prossimo nel settantaduesimo anniversario della dichiarazione Schuman, la dichiarazione dell’allora Ministro degli esteri francese, Robert Schuman che, il 9 maggio 1950, proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio, i cui membri avrebbero appunto messo in comune la produzione di carbone e acciaio.
Lo ricordo perché oggi tale ricorrenza fa un certo effetto, se la contestualizziamo e se pensiamo alla questione cruciale ed emergenziale che l’Europa e l’Italia stanno affrontando, ovvero quella dell’approvvigionamento energetico, dell’uscita dalla dipendenza dal gas e dal petrolio russo e quella di fondare le premesse per una autonomia necessaria per una transizione ecologica nonché per l’impiego delle energie rinnovabili.
Torniamo alla Conferenza, che avrebbe dovuto rilanciare il progetto europeo, coinvolgendo i cittadini europei e la società civile, e che, come ricordava il collega Malan, è organizzata dalle tre principali istituzioni europee: la Commissione, il Parlamento, il Consiglio ed è coordinata da un Comitato esecutivo. Insomma, nelle intenzioni si tratterebbe, come si legge nei documenti relativi alla Conferenza che io sono andata a visionare, di una occasione unica per ragionare sulle sfide e le priorità dell’Europa, come si legge sempre sul sito, attraverso quel meccanismo di plenarie e di gruppi di lavoro.
Io sono andata anche a controllare il numero delle riunioni. Ce ne sono state già sei, di cui le prime, però, antecedenti all’invasione russa dell’Ucraina. Dopo tale data il mondo è cambiato, l’assetto geopolitico è cambiato e sta cambiando e io immagino che ciò abbia condizionato anche i lavori della conferenza.
La prossima plenaria sarà a fine aprile e i lavori conclusivi, come detto, si svolgeranno il 9 maggio. Nelle plenarie della Conferenza si dibattono le raccomandazioni formulate dai panel nazionali dei Paesi europei e dei cittadini e i contributi raccolti dalla piattaforma digitale multilingue.
Tale piattaforma digitale sarebbe l’asse portante della Conferenza, di questo che, come ricordava il collega Malan, è un esperimento di democrazia partecipativa. Bellissima come idea: peccato che i numeri della partecipazione, nel metodo e nel merito anche dei contributi, siano un po’ tristanzuoli e ci facciano sollevare perplessità e dubbi.
Quando il 9 maggio la Conferenza concluderà i lavori, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento riceveranno le raccomandazioni contenute in una relazione, alcune delle quali – lo sottolineo – contengono chiare indicazioni sulla necessità di rivedere i trattati costitutivi dell’Unione europea. Voglio ricordare che l’ultima revisione in materia risale al 2007, con la firma del Trattato di Lisbona; ma il punto è che Bruxelles dovrà scegliere se dare seguito alle proposte dei cittadini o se interpretare il documento finale comune come una sorta di direzione indicativa del lavoro (quindi sostanzialmente una cosa inutile), senza intaccare né i trattati, né la struttura dell’Unione europea, a questo punto – mi permetto di dire – tradendo la fiducia dei cittadini.
Insomma sono molti e sono anche legittimi i dubbi da avanzare sull’esito della Conferenza: quell’occasione unica diventerebbe – forse lo è già – un’occasione sprecata. Ci sono dubbi anche sul metodo dei lavori, sulla rappresentatività e sul campione dei delegati, sui panel nazionali dei cittadini (solo sei Stati membri, infatti, ne hanno allestiti) e altri dubbi di cui parlava il collega Malan. Aggiungo ulteriori dubbi e perplessità, come ha fatto il nostro collega Carlo Fidanza, europarlamentare del gruppo dei Conservatori e riformisti europei a Bruxelles, il quale ha chiesto di sapere i costi, senza avere risposta alla sua interrogazione: quali budget sono stati utilizzati e quali costi sono previsti alla fine. Già si stima che la Commissione abbia speso ben 22 milioni di euro e il Parlamento 1,2 milioni (e potremmo continuare).
Allora viene un dubbio sull’effettività di questa democrazia partecipativa, su come sia stata organizzata l’intera Conferenza e anche sul fatto che tutte queste proposte di riforma dei trattati non verranno prese in considerazione. Questo vuol dire che si rischia che questa occasione unica alla fine diventi un’occasione perduta, addirittura un’occasione sprecata. Mi riferisco anche a quanto dichiarato recentemente in un’intervista dal presidente Giorgia Meloni, che dice che la Conferenza sul futuro dell’Europa, che viene spesso richiamata con enfasi, rischia purtroppo di essere una grande occasione perduta, perché porta con sé un vizio di origine: un risultato preconfezionato avallato da qualche centinaio di volenterosi e rispettabili cittadini, che però di certo – scusate, cari colleghi – non possono rappresentare 450 milioni di europei.
Dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà e di chiamare le cose con il loro nome. Come diceva il collega Malan, c’è dietro il rischio dell’imposizione di un pensiero unico. Ancora una volta si ripropone una scelta di fondo (è un’espressione che ho già usato intervenendo tempo fa in quest’Aula): cosa vuole fare l’Europa da grande? Questa era una buona occasione per capirlo, perché bisogna sempre distinguere tra la funzione, la missione e l’identità. È su questo che l’Europa si deve interrogare. Noi abbiamo un nostro modello di Europa, come illustrato nella nostra mozione: una confederazione di Stati nazionali sovrani. L’Europa dovrebbe chiedere ai popoli, agli Stati membri, ma soprattutto ai cittadini se per loro è più interessante sapere, per esempio, cosa devono mangiare o non mangiare o sapere, per esempio, cosa c’è che pulsa all’interno del cuore dei popoli europei. (Applausi).
[Fonte: www.senato.it]