PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.
RAUTI (FdI). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, oggi, dopo cinque giorni di thriller psicologico, serviti a far suonare l’orchestra dell’ “appellismo”, come è stata definita, è arrivata finalmente la giornata che dovrebbe chiarire all’Italia il suo destino politico. La prima parte delle sue comunicazioni, signor Presidente, è stata lineare, perché ha spiegato, finalmente, le ragioni delle sue dimissioni, di una scelta che ha definito sofferta e dovuta. Ha detto anche – lo cito testualmente, perché è importante – che ad un Presidente che non si è presentato al giudizio degli italiani serve una maggioranza forte: esattamente quella che lei, signor Presidente, non ha. Non possiamo quindi che essere d’accordo ed è il motivo per cui il Gruppo Fratelli d’Italia, non da oggi, ma dall’inizio di questa legislatura tormentata, che ha visto già tre Governi – con oggi direi tre Governi e mezzo – non espressione di un mandato popolare, chiede di tornare alle urne. Lo chiediamo dall’inizio di questa legislatura, per avere dagli italiani un forte mandato politico e popolare e ancor di più oggi, signor Presidente, perché lei si trova una maggioranza che è più debole e più divisa rispetto ad una settimana fa, quando ha deciso di presentare le sue dimissioni.
Oggi, in Assemblea, a questa sua maggioranza contraddittoria, che definirei la sua principale debolezza, ha chiesto – cito ancora testualmente – di «ricostruire da capo». Non si evince con quale collante lei crede, se lo crede davvero, di poter ricostruire da capo il suo Governo. Infatti, nella seconda e nella terza parte delle sue comunicazioni, lei ha avuto – mi passi l’espressione – una parola cattiva per tutti, ovvero una stoccata diretta ad ogni forza dell’attuale compagine di Governo. Certo, anche lì ci sono figli e figliastri, perché ha “menato” di più la Lega e il MoVimento 5 Stelle, mentre ha coccolato il PD.
Questa non è una novità. Certamente lei, signor Presidente, con il suo intervento e le sue comunicazioni, si è tolto alcuni sassolini dalle scarpe, però in questo modo ha anche delegittimato il suo attuale Esecutivo. Quando ha elencato – l’abbiamo ascoltata con attenzione – i punti fondamentali del programma di governo per ricostruire quello che lei, appunto, ha chiamato “patto”, quello che è saltato, ha parlato delle scadenze del PNRR, della riforma fiscale, dell’agenda sociale, del sostegno all’Ucraina e di altro ancora. Lei ha elencato tutta una serie di punti che non sono quelli che la sua attuale maggioranza in questi giorni le ha sottoposto, chiedendo anche sostanzialmente a quest’Assemblea pieni poteri. Lo sa anche lei che rispetto ad alcuni dei punti del suo programma di governo arriveranno subito i veti incrociati: penso per esempio al quarto decreto di sostegno all’Ucraina (sa a cosa mi riferisco), penso alla riforma del catasto che la Lega non condivide e potremmo continuare. Lei, Presidente, più che un programma di governo ha sembrato disegnare non una visione per tirare qualche mese, ma direi un programma elettorale con il quale potrebbe presentarsi alle elezioni e sottoporsi al giudizio degli italiani.
Qui vengo a un altro punto molto importante, perché lei ha sostenuto e sottolineato di essere rimasto molto colpito da una specie di epidemia indotta di appelli a restare che si è diffusa negli ultimi tre giorni. Li ha citati, li ha ringraziati, parlando appunto di società civile e di immeritato sostegno che le avrebbero tributato associazioni, scuola, università, mondo dell’economia, mondo del giornalismo, sindaci. Anch’io ricordo che sono 2.000 sindaci su 8.000 e non mi pare di avere letto un appello dei Governatori regionali, o forse mi sarò distratta. Ha concluso dicendo, in qualche modo delegittimando lo stesso Parlamento, che lei resta perché glielo chiedono gli italiani. Ma allora perché non lo chiediamo agli italiani? Perché non chiede agli italiani quello che pensano? O forse valgono i sondaggi del termometro politico, che non dicono esattamente quello che lei c’è venuto a raccontare. Ma glielo chieda agli italiani, chiediamolo agli italiani come si fa nei sistemi democratici: si chiamano elezioni e non sono esattamente un’apocalisse. Non si tratta di letterine, ma è il modo di esprimere il consenso, il giudizio politico e il gradimento, perché – vale la pena di ricordarlo a questo punto – la sovranità appartiene al popolo, che si esprime con il voto e con le elezioni.
Lei resta, quindi, perché glielo chiederebbero gli italiani, ma lei agli italiani non lo chiede: è strano. Poi naturalmente resta – dimenticavo – perché glielo chiede l’Europa, come tutto il resto naturalmente, la stessa Europa però che quando si vota in altri Paesi (perché si vota in altri Paesi, anche prima della scadenza, se è del caso) non permette ingerenze prima del voto. Si analizzano i voti il giorno dopo; nel caso dell’Italia ci si racconta chi si deve candidare, se si deve votare o non si deve votare. Insomma, l’Europa ci vuole dire tutto e noi – cioè voi – dite anche grazie per questi consigli. Allora, Presidente, quell’Europa che le chiede di rimanere è la stessa che non vuole condividere, ad esempio, la nostra richiesta di mettere un tetto al prezzo del gas. Quindi, quando si dice “Europa” si dicono anche tante altre cose, ma andiamo avanti.
Un giornalista intelligente e fine analista politico come Antonio Padellaro, quindi al di sopra di ogni sospetto, in una recente intervista rilasciata a «Libero» ha affermato che nel successo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, successo elettorale tra l’altro registrato nelle varie tornate che ci sono state dal 2018 ad oggi, nonché stimato nei sondaggi che farebbero di Fratelli d’Italia il primo partito, lui legge il simbolo del riscatto della democrazia parlamentare, una rivolta contro l’ipotesi di un Draghi bis. Le suggerisco la lettura di questo articolo.
Lei non crede, quindi, Presidente che oltre alle letterine di sostegno l’Italia sia altro e sia anche un’altra? Ebbene, noi lo crediamo perché la conosciamo e la incontriamo tutti i giorni quell’Italia lì. Il problema è quell’Italia voi l’avete presa in ostaggio, con i vostri litigi e le vostre beghe di Palazzo e vi ostinate a trascinare una legislatura solo per logiche di sopravvivenza elettorale e per quale nomina di Stato importante. Se nella giornata di oggi, dopo tutto questo, tutto dovesse rimanere com’è, ebbene allora avete scherzato, mentre avete creato una suggestione collettiva che il voto avrebbe scatenato l’Apocalisse e non è così.
Allora, signor Presidente, premesso che – ricordiamolo – c’è sempre un Governo in carica che può sbrigare l’ordinaria amministrazione quindi non c’è bisogno di fare terrorismo psicologico, diciamo anche che voi volete scongiurare le elezioni perché avete paura del giudizio del popolo e dell’esito delle elezioni. Non si capisce come in pochi mesi potreste risolvere tutti i problemi che il “Governo dei migliori” non ha risolto e affrontato in un anno e mezzo.
Mi avvio a concludere e vorrei anche sdrammatizzare, colleghi. Abbiamo scoperto in lei una insospettabile vena ironica, presidente Draghi. Nella conferenza stampa estera, lei ha raccontato una godibile barzelletta sul trapianto di cuore, dicendo che sarebbe meglio scegliere il cuore di un banchiere anziano di ottantasei anni rispetto a un cuore giovane perché quel banchiere il cuore non l’ha mai usato (grandi risate da parte della stampa). Lei i banchieri li conosce sicuramente, quindi forse neppure scherzava; non sappiamo se fosse ironia o autoironia. Allora mi consenta una battuta e con questo concludo in quest’Aula ormai quasi spopolata, nonostante l’importanza del tema. Colleghi, voglio attirare la vostra attenzione: tutti ricorderete quel memorabile film di Scola, interpretato da Alberto Sordi e Nino Manfredi, che si intitolava così: «Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?». Il film si conclude con l’indimenticabile: «Titì, nun ce lascià», lo ricorderete tutti. Titino alla fine che ha fatto? Si è gettato dalla barca, non è tornato in Italia e ha risposto al richiamo, perché nel frattempo Titino era diventato lo stregone di quel villaggio indigeno.
Signor Presidente, colleghi, ironia a parte, Fratelli d’Italia si aspetta uno scatto di orgoglio da parte di Mario Draghi, quindi le sue dimissioni confermate, e non un Draghi bis che, se ci sarà, sarà ancora più pallido e più debole di quello iniziato a febbraio 2021. Insomma, gli scenari cambiano, ma il fatidico e non fortunatissimo «whatever it takes» di Mario Draghi resta? È un “ad ogni costo” che però non assomiglia – mi perdoni – né al coraggio né a una sana ostinazione: assomiglia molto invece all’accanimento terapeutico di tutte quelle forze politiche che hanno paura di affrontare le elezioni e che, per tenere lei a garanzia delle loro posizioni di potere, le hanno sbarrato ieri la strada al Quirinale e oggi vogliono sbarrare la strada delle elezioni e del giudizio del popolo italiano. (Applausi).
[Fonte: www.senato.it]