Seconda giornata della visita istituzionale a Kabul della Consigliera Isabella Rauti, membro dell’Ufficio di Presidenza dei Consiglio regionale del Lazio. Gli incontri di oggi svelano i diversi aspetti della vita delle donne afghane: quelle vittime di violenze, quelle detenute e quelle che una coraggiosa politica di emancipazione ed equità sociale accompagna all’esercizio dei diritti fondamentali. Nella visita all’ospedale Wazir Akhbar di Kabul la Consigliera Rauti ha incontrato Sahar Ghul, la sposa – bambina segregata e torturata per mesi dalla famiglia del marito perché rifiutava di prostituirsi, che è diventata un simbolo internazionale della violazione dei diritti umani.
«La storia di Sahar ha sconvolto il mondo – ha dichiarato la Consigliera Rauti – ed ha fatto emergere un sommerso di violenze domestiche che in Afghanistan sono diffuse e tollerate; le nuove leggi che puniscono questi reati non sono implementate e rispettate ed il diritto consuetudinario prevale su ogni altro diritto. Abbiamo portata a Sahar medicinali e vitamine offerti da Federfarma Lazio ed alcuni vestiti; ci ha sorriso teneramente dimostrando i 13 anni che non ha mai potuto vivere».
Rauti ha visitato il carcere femminile e il Centro di riabilitazione per minori, nei pressi della capitale afghana. Le strutture, costruite tra il 2006 ed il 2008 con il contributo della Cooperazione Italiana, accolgono 180 donne e 55 bambini al di sotto dei 7 anni; inesistenti le attività trattamentali, da quando anche l’ ultima Ong, AWEC, ha esaurito il budget destinato. Le donne scontano, per lo più, reati morali, come l ‘adulterio e l ‘abbandono del tetto coniugale; spesso “ripudiate ” dai parenti e senza un avvocato che le difenda, passano dalla detenzione temporanea al carcere senza un processo. Nel centro minorile – che di riabilitativo offre ben poco – ci sono 147 ragazzi tra i 13 ed i 18 anni, detenuti per reati contro la sicurezza nazionale, per furto e spaccio o per reati morali, come la pederastia, anche nei casi in cui sono solo vittime.
«L’Afghanistan – ha proseguito Rauti – che vuole cambiare si costruisce in strutture come il “Giardino delle donne” di Kabul; un’oasi femminile e di civiltà, distrutta durante la guerra civile afghana e rinata con la Cooperazione internazionale. Il “Giardino”, sostenuto anche dal Ministero degli Affari femminili, è aperto alle donne ed ai loro bambini tutti i giorni dalle 8 alle 16 e nel 2011 si sono registrate più di 1.200 donne che, autorizzate dalle famiglie, hanno seguito Il Programma di Formazione Professionale e imprenditoria femminile della Cooperazione italiana, con corsi di informatica, inglese, catering, letteratura e persino elettronica. Nel “giardino” le donne possono anche fare scuola guida e prendere la patente perché imparare a guidare la macchina significa potersi muovere e poter trovare un lavoro. E se l’anno scorso sono state 100 le donne neopatentate, che stanno già pensando di costituire una cooperativa femminile di taxi per sole donne, le richieste di iscrizioni erano state 500. Un segno che qualcosa può cambiare e sta cambiando».
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