Copia non corretta dal relatore
Vedete, la data di oggi tra l’altro è propizia, forse anche simbolica, perché proprio oggi alle 14 alla Camera è cominciata la seduta che vede al punto 4 dell’ordine del giorno – non so nel frattempo l’aula a che punto è arrivata della sua discussione – ma secondo me oggi sarà comunque imminente affrontare la discussione sulle disposizioni per il testo unificato, (perché è frutto bipartisan di più testi di questa discussione ) e si è arrivati a un testo unificato fondamentale che contiene “Disposizioni per promuovere – e nessuno dei termini è casuale – il riequilibrio della rappresentanza di genere nei Consigli e nelle Giunte delle Regioni e degli Enti Locali”: quindi c’è tutto in questo Testo Unico che viene discusso oggi, mentre noi siamo qui oggi ad affrontare lo stesso nodo; la settimana scorsa eravamo a Roma; la Regione Puglia si è mobilitata per cominciare una raccolta di firme su una proposta analoga, modifica la quantità della richiesta, ma il processo è lo stesso. E allora perché voglio dire questo, perché evidentemente due cose: intanto i nodi che non sono stati sciolti prima o poi si ripropongono, e questo è uno di quelli che era rimasto irrisolto, e per fortuna si è riproposto; l’altra – che mi entusiasma – è che per fortuna è ritornata d’attualità nel dibattito e nell’agenda politica questa questione che non era stata irrisolta.- E non è poco perché è una congiuntura propizia: io mi auguro che questi siano finalmente i tempi di soluzione della questione; io mi auguro che questo testo venga approvato, io mi auguro che con questo testo si vada a votare già dalle amministrative imminenti del 2013 e poi tutte le altre tornate amministrative che ci attendono. Quindi questo potrebbe essere il punto di snodo, il punto di svolta, quindi forse stiamo assistendo tutte, da protagoniste evidentemente, ognuno per il suo e per il suo livello, a un cambiamento a una rivoluzione che – per quanto ci riguarda – ha i caratteri di una rivoluzione storica, e comunque potrebbe segnare uno spartiacque tra il prima e il dopo. Perché dico che i nodi, quelli irrisolti, prima o poi ci aggrediscono e tornano per fortuna al pettine? Perché tutti noi sappiamo intanto che esiste in questo Paese che stenta a diventare in senso ampio un “Paese per le donne”; in questo Paese il diritto di voto attivo e passivo è stato ottenuto in ritardo nel 1946. Ma il punto non è soltanto quello del ritardo – che peraltro si continua evidentemente ancora a scontare – il punto è un altro: nel 1946 le elette furono il 6,3%, 44 donne. Se noi consideriamo – e c’è chi lo ha fatto, ci sono degli studi; io personalmente ho scritto due monografie su questo tema, ma ci sono ben altri autori più importanti di me che hanno fatto questi studi comparati – comunque la mettiamo, se noi guardiamo la percentuale delle elette dal 1946 all’ultima tornata elettorale, c’è stato sempre un andamento discontinuo, mai evolutivo continuo, che ha visto oscillare le percentuali, più o meno, ma quelle percentuali non sono mai state neanche vicine a quel famoso 30%. Anzi, l’Istat dice che queste percentuali hanno descritto un andamento a U, nel senso che ha avuto addirittura delle cadute, poi la risalita, e allora la percentuale più alta è quella attuale, che registra poco più del 21% alla Camera e il 18% al Senato . E allora, dal ’46 ad oggi questo problema il Paese non lo ha risolto, non l’ha saputo risolvere, non l’ha voluto risolvere. Certamente non sono state le donne a non volerlo risolvere, diciamo – genericamente – che è stata la politica. Ma al di là delle responsabilità, il punto è un altro: questo andamento discontinuo, questa percentuale marginale, questo paradosso che vede nel Paese 52% delle donne del corpo elettorale, e una media che tra il 21 e il 18, naturalmente non arriva all’obiettivo del 30%, be’ evidentemente questo è un male della democrazia, prima che essere un problema del Paese è un’asimmetria del sistema democratico, è una inefficacia del sistema democratico, è una incompiutezza del sistema democratico, perché il sistema democratico per sua vocazione deve essere rappresentativo,e nel riferimento ai generi dovrebbe rappresentare il 50% di un genere e il 50% di un altro, obiettivi lontanissimi evidentemente. Ma, ancora di più, e se possibile, ancora peggio, la percentuale non arriva a quella soglia del 30-33% che tutti gli osservatori internazionali, e anche quelli europei, ci indicano come la soglia minima di garanzia, di equità, e di equa rappresentanza di genere. E allora l’obiettivo primo è quello del 30%, l’obiettivo secondo è quello del 50%. Qui non è soltanto una questione matematica, e non è neanche una semplice questione di rivendicazionismo (poi ognuno ha le sue provenienze, e vanno bene tutte, evidentemente se siamo tutte qui), ma qui è il punto che noi dobbiamo contribuire a realizzare un sistema democratico efficace ed efficiente, dobbiamo colmare quello che oggi è un deficit. E allora la partita che si è riaperta, che ci vede protagoniste sostenitrici, non è una partita da poco, e ripeto mi auguro sia la volta che si risolve. E vedete, tra l’altro questa questione – perché poi la storia delle istituzioni è sempre il riflesso della cultura anche dell’animo del Paese – questa storia ha avuto anche delle fasi importanti: perché nel ‘93 per esempio, ci furono importanti interventi legislativi, (non cito gli articoli, sono storie note), però furono i primi tentativi legislativi di affrontare, aggredire , questa questione. E ancora nel ’95, poi ci fu una battuta d’arresto. Quindi, un’altra stagione favorevole dal punto di vista legislativo fu quella vissuta nel 2000 , poi interventi del 2001, del 2003, e poi la grande delusione del 2005, quando alla Camera venne bocciata la proposta delle Quote Rosa dell’allora ministro Prestigiacomo, bocciata con il voto segreto un partito trasversale dei maschi, al di là delle appartenenze ideologiche e di partito. Dopo quella battuta d’arresto tutti conosciamo la storia, e di fatto dobbiamo aspettare soltanto le amministrative della Campania per riprendere seriamente in mano il bandolo della matassa. Soltanto la Campania ha votato con quel sistema, e la Campania ha portato il Consiglio Regionale da 2 a 14 donne, quindi evidentemente la norma funziona. Ma non è stato pacifico: perché la norma è stata impugnata, contestata, e si è dovuto aspettare una sentenza della Corte che ne restituisse, ne ribadisse la legittimità. Questo è il contesto da cui proveniamo. E allora la partita di oggi diventa veramente cruciale, e oggi va giocata tutta, e credo che la partecipazione in questo teatro sia il sintomo di un rinnovato interesse rispetto a questa questione e forse anche una consapevolezza nostra che questa volta si può fare. Comunque, qualora perdessimo questa partita, naturalmente ognuna rimarrà – come è abituata – al suo posto, chi nelle associazioni, chi nelle istituzioni. Vedete, lo ricordava anche Giovanna, le Regioni hanno in questa partita un ruolo molto importante: noi abbiamo fatto a Roma, nel novembre scorso, il primo Forum di tutte le Elette di tutti i consigli regionali, e abbiamo discusso tra di noi. Anche il presidente Tallarico ricordava quanto nella conferenza dei presidenti c’è stata – devo dire – una grande accoglienza e flessibilità rispetto alle nostre richieste di convocare il I Forum delle Elette . Lo abbiamo fatto; abbiamo discusso per due giorni (naturalmente con un tavolo tecnico preparatorio), e abbiamo poi stilato il documento di indirizzo rivolto a tutti i presidenti di tutti i consigli regionali d’Italia. Cosa chiedevamo, che cosa chiediamo? Intanto di convocare dei consigli straordinari, intanto di discutere tutte quelle proposte di legge che in tutti i consigli regionali affrontano vari temi della rappresentanza di genere (dalla riforma delle leggi regionali elettorali, fino ai bilanci di genere, fino alla presenza delle donne nelle aziende controllate dalle regioni), insomma una vasta gamma – la conoscete bene – di tematiche, proposte di legge mai discusse nei vari consigli. Quindi chiediamo tutto questo, e poi chiediamo altre due cose: se si ritorna a votare con il sistema delle preferenze, noi chiediamo come modello unico di riferimento quello della Campania – che come spiegava Giovanna – è doppia preferenza. Non c’è una volontà di imporre, ma se l’elettore vuole esprimere una preferenza, ne deve indicare due e deve differenziare il genere della sua preferenza. Questo è! E’ tanto? E’poco? Non lo so, so che in Campania ha funzionato. Ma chiediamo anche, qualora si tornasse invece ai collegi, noi chiediamo il collegio binominale (un uomo e una donna). Attenzione, sullo sfondo c’è una discussione molto più ampia che riguarda evidentemente la modifica delle leggi elettorali nazionali. E allora questo nostro dibattito si inserisce in quello che è il dibattito centrale della politica che deve rinnovare se stessa, come ricordava il presidente Scopelliti. E attenzione, questo lo dico quasi sussurrandolo in un orecchio, c’è un altro problema: se la legge elettorale prevederà, come parrebbe, una riduzione del numero dei parlamentari, diventa evidente che per ogni donna che entra c’è un uomo che esce, e la riduzione del numero dei parlamentari – che io personalmente come principio quantitativo condivido – non può diventare però una sorta di forbice su quella presenza femminile già marginale, non residuale (perché poi le donne si battono e valgono) ma marginale dal punto di vista quantitativo sì. E allora vedete, noi non parliamo né di sogni, né parliamo di condizioni di nicchia femminile: noi qui parliamo di questioni di democrazia; parliamo di quelle che sono le discussioni centrali del dibattito politico di questo Paese, soprattutto in questa fase della politica. E allora, non voglio rubare altro tempo, però voglio fare un’ulteriore considerazione: intanto evidentemente io ho aderito e firmato l’appello della FIDAPA e mi farò promotrice di questo appello in tutte le sedi associative e della società civile; e dall’latro lato, parallelamente, in Consiglio Regionale mi batterò per queste proposte di legge, mandando avanti come tutte noi cerchiamo di fare, questi due binari paralleli. Perché soltanto intrecciando l’impegno della società civile con quello delle istituzioni, noi riusciamo a creare una rete che può fare il giusto pressing – come si dice in questi casi – sull’opinione pubblica: questo è il momento favorevole. Voglio anche dire che la Regione che io rappresento è una Regione che ha uno statuto e un regolamento avanzato: già da tempo noi abbiamo votato con un listino bloccato per il 50% composto da donne, io sono figlia di quel listino; avrei preferito misurarmi con le preferenze ma sono stata inserita in quel 50% di listino, e il Lazio ha votato così, con un 30% per quanto riguarda invece l’aspetto legato alle preferenze. Abbiamo anche un regolamento di giunta che vincola con un 30% di rappresentanza femminile, abbiamo un regolamento di ufficio di presidenza che garantisce – poco – ma garantisce, una rappresentanza femminile anche in questo organismo. E allora il Lazio può essere anche un punto di riferimento, un laboratorio, da questo punto di vista. Però il problema è un altro, e cioè che nessuno vive felice in un’isola felice: bisogna che le leggi elettorali regionali siano omogenee; bisogna che ci sia uno sforzo corale del Paese; bisogna che ci sia un’approvazione in Parlamento, bisogna che si voti in tutti i consigli regionali con gli stessi meccanismi e con le stesse misure di salvaguardia, non di garanzia, ma di salvaguardia. Voglio proprio dirlo: io non sono una che è nata e cresciuta in un ambiente che il discorso delle quote lo abbia proprio assimilato, diciamo la verità; io sono una che è cresciuta negli ambienti associativi, che si è sempre occupata, da quando aveva 14 anni, -adesso ne ho 49, purtroppo tantissimi – che si è sempre occupata di temi femminili: io delle quote mi sono fatta persuasa, non sono nata persuasa. Io mi sono fatta persuasa quando ho studiato e ho visto le percentuali femminili nelle istituzioni, ho visto i meccanismi, ho visto che quando c’erano i meccanismi vincolanti la percentuale femminile aumentava; io ritengo questo discorso un merito e non un fine; io ritengo questa norma naturalmente transitoria, ma le norme nascono per correggere dei difetti, per colmare dei vuoti, quando questo sarà ottenuto noi saremo felici e saremo le prime che chiederemo il ritiro della norma. Perché noi chiediamo il merito; chiediamo più donne in politica; chiediamo anche una selezione di donne e uomini che vanno a rappresentarci (personalmente io sono una fanatica del meccanismo e del ritorno alle preferenze; personalmente sono anche una fanatica delle primarie, e un domani anche di una repubblica presidenziale con una elezione diretta, ma questa è una materia altra, un po’ più estesa )…Quindi non posso essere una che nasce fanatica delle quote, ma una che si è fatta fortemente persuasa delle quote, questo assolutamente sì: per correggere quel bisogno; perché noi dobbiamo puntare al 30% e poi al 50%, ma ci dobbiamo puntare non soltanto per il valore femminile, o perché le donne sono garanzia di buon governo (penso io); ma lo dobbiamo fare per un dovere e una responsabilità – se volete – anche superiore: perché questo attiene a una discussione ad altro livello fra donne impegnate, ma perché questo attiene al funzionamento o meno di un sistema democratico e di una democrazia post-moderna quale è la nostra. E allora io penso che non debba essere il Tribunale amministrativo (Il Tar) a intervenire dopo, ma io penso che debba essere la politica a intervenire prima e a creare le premesse e le condizioni. Io mi auguro di tornare poi in Calabria con un Consiglio Regionale composto anche per genere e penso anche – chiudo con una battuta -.: giusto in ingiusto questo meccanismo? Non so: prima esserci, poi filosofare, finché non ci sono le donne, non si può- Grazie a tutti e buon lavoro.