di Giancarlo Perna
La moglie di Alemanno difende il marito: «Non ha preso un soldo, al Comune di Roma ha trovato troppe trappole. La destra? Si sta squagliando. Sto con la Meloni, ma punto a un’area più vasta»
Freddolosa e veemente, Isabella Rauti in Alemanno, mi riceve nel salotto di casa sua avvolta in un pullover a collo alto per soggiorni in igloo e dice decisa: (…)
(…) «La destra si sta squagliando e va riaggregata». Poi, lascia il triste argomento e si dedica ai convenevoli. Mentre la domestica prepara i caffè, mi informa dei problemi vegetativi che angustiano il terrazzo dell’attico dove abita con Gianni, l’ex sindaco di Roma, e Manfredi, loro unico figlio e luce dei suoi occhi. I semi non germogliano e le piante rifiutano di attecchire. «Ti manca il pollice verde», concludo. Lei non replica. Forse non ama mettersi in discussione. I caffè arrivano e faccio in tempo, prima di sedermi, di notare che tra le foto incorniciate straboccano quelle del padre, Pino Rauti, mentre quelle del marito sono in netta minoranza. «Ostracizzi Gianni per punirlo del pasticcio in cui si è cacciato? », ironizzo. Mi riferisco, ovviamente, all’accusa di presunta associazione mafiosa per ottenere finanziamenti che pende sull’ex sindaco da un paio di mesi. Isabella non ci trova niente da ridere e gela il mio sorriso. «Perché dovrei punirlo? – dice secca -. Anzi, ho cercato di stargli più vicino possibile. Ritengo la vicenda un’ingiustizia».
Non incontrando da anni la collega (Rauti è giornalista), ne avevo scordato il temperamento drammatico. Mi adeguo all’istante e, vedendola un po’ dimagrita, chiedo: «Quanti chili hai perso dall’irruzione in casa dei carabinieri alle otto di mattina del 2 dicembre?».
«Tre chili ma per la dieta – dice e stavolta, valla a capire, è lei a ridere -. Però quello che si è scatenato quel giorno è stato spiacevole. Ho rivissuto il trauma di 42 anni fa quando mio padre fu arrestato per terrorismo e dipinto come un mostro. Per poi, assolverlo pienamente da tutto».
«Tu ce lo vedi Gianni accordarsi con le cosche per soldi?», domando.
«Sono assolutamente certa dell’innocenza di mio marito e non credo all’esistenza della mafia in Campidoglio. L’indagine, comunque, parla di cose vecchie e di sinistra, mentre la versione dei media l’ha spacciata per una cosa di destra».
Il tema la fa stare sulle spine. Infatti, mi chiede: «Quante domande hai ancora su Gianni?».
«Un paio. Ma quelle sul tuo impegno in politica saranno peggiori», le annuncio sadico. Isabella rabbrividisce e col telecomando aumenta il riscaldamento. Non è il tipo da affrontare serenamente un’intervista. Non è cinica, cerca di rispondere lealmente, soffre. Quanto basta per scatenare il facocero che cova in ogni intervistatore. Domino il mio lato cattivo e chiedo dolcemente: «Vi siete arricchiti mentre Gianni era sindaco?».
«Valà. Ci sono i conti bancari e l’assenza di proprietà a dimostrarlo. Gianni, quando è stato eletto, aveva una casa. Ora l’ha venduta per pagarsi le spese affrontate nell’ultima campagna elettorale finita male».
«Se non è ladro, è scemo o incapace?», domando.
Isabella che è un’intellettuale pignola come quelle di sinistra, una che soppesa le frasi e non ammette sinonimi perché ogni parola ha un significato irripetibile, mi guarda con compatimento. Poi, ignorando la primitività della mia domanda, risponde compunta:
«La macchina di un grande comune come Roma è sommamente difficile e piena di trappole. Non a caso, Gianni è stato un ottimo ministro dell’Agricoltura, essendo i dicasteri meno accidentati. In Campidoglio forse ha sbagliato la scelta di alcuni collaboratori. Certo non è venuto meno ai principi di onestà».
«Pino, tuo padre, che in fatto di soldi era un francescano, come avrebbe reagito all’inchiesta?», chiedo.
«Credendo all’assoluta innocenza di mio marito», taglia corto. Poi guarda l’ora – con l’aria di dirmi: «Oltre a te, mi aspetta il vasto mondo» – e noto che ha, asserpolato sul polso, un orologino a forma di aspide. Come un ammonimento.
Che è saltato in mente a te e Gianni di fondare Prima l’Italia, ennesimo movimento di destra?
«Sono due anni che ci lavoriamo. Un tentativo, fatto in umiltà, di riunire la diaspora della destra».
Di eredi di An, ci sono già Storace e Fratelli d’Italia. Che avete di diverso?
«Non è un ulteriore partitino di destra. Io sono già esponente di Fd’I. Il partito quindi ce l’ho. Ma punto a un’area di destra più vasta. È il compito di Prima l’Italia».
Sei con Giorgia Meloni per l’alleanza con Matteo Salvini?
«Sarò alla sua manifestazione romana di domani (oggi per chi legge, ndr) con gli altri di Fd’I.Di Salvini condivido la critica all’Ue germanocentrica, quella alla moneta unica e il realismo sull’immigrazione».
In che ti differenzi?
«Sull’unità nazionale, che per noi è imprescindibile, e sull’atteggiamento verso il Mezzogiorno d’Italia. Per intenderci, Salvini ha verso il Sud modi paternalisti e salvifici – riassunti nel suo refrain: «Siamo qui per salvarvi» – che considero antistoricie francamente grotteschi».
Il suo lepenismo ti sta bene?
«Di Marine Le Pen potrei parlarti mezz’ora».
Due secondi.
«Ho il massimo interesse per lei: con un linguaggio semplice ha sfondato a sinistra ma con idee forti di destra».
Con il Cav in crisi, siete tutti in coma.
«Vero. Berlusconi è esaurito e il re è nudo. Il berlusconismo va superato per creare un nuovo fronte alternativo alla sinistra».
Vuoi arruolare Gianfranco Fini?
«Recentemente, intervistato dal Corsera, è stato gratuitamente offensivo con Giorgia Meloni che ha invece il coraggio di sfidare il governo».
Potrebbe dare un contributo di idee.
«Lui immagina una destra, plasmata sul Ppe, che è quella che va da Monti a Passera. L’antitesi della nostra. Fini è un popolare europeo, ossia un democristiano».
Ha anche ripudiato la sua legge sull’immigrazione.
«Il primo dei molti errori su questo tema, è stata l’abolizione del reato di clandestinità. Ora siamo saturi: non possiamo accogliere tutti e da soli. Prima vengono gli italiani».
In pratica?
«Aiutiamo i Paesi di provenienza a svilupparsi per trattenere i loro abitanti. Nel frattempo, blocchiamo gli sbarchi con le navi schierate davanti alle coste di partenza».
Sei più missina di Gianni. Tanto che – litigando con lui – hai aderito ad An solo dieci anni dopo Fiuggi. Neofascista nei precordi?
«Mai stata. Sono figlia di quel Pino Rauti che ha dato a intere generazioni le coordinate per uscire dal tunnel del neofascismo. Io sono della destra nazional-popolare».
Ci fu una polemica per una foto di tuo figlio, allora sedicenne, che faceva il saluto romano. Influenza più tua che di Gianni?
«Di nessuno dei due. Manfredi frequentava all’epoca un gruppo studentesco di destra extraparlamentare. Da allora, ha responsabilmente capito che gesti, anche scherzosi, possono causare problemi».
Sei convinta femminista. Pensavo che l’ideale muliebre di destra fosse l’angelo del focolare.
«Oddio, come sei antico! Siamo tutti post femministi, uomini e donne e indietro non si torna. Sono per la complementarietà dei sessi e per le pari opportunità nel rispetto delle differenze di genere».
Per me è ostrogoto. Sei per le quote rosa?
«Sono state utili per correggere un deficit di democrazia…»
Un chi?
«Mi metterò al tuo livello. Le quote hanno ridato alle donne, sotto rappresentate nelle istituzioni, il posto che gli compete. Ma, in sé, sono solo un mezzo tristanzuolo. Non il fine, che è il prevalere del merito».
Tra femministe, destra-sinistra non contano. Infatti, sei nella Fondazione Nilde Iotti, presieduta da Livia Turco, ex Pci.
«C’è, per fortuna, un dialogo delle donne aldilà delle appartenenze. Sono nel comitato scientifico di una fondazione culturale, che non è un partito politico».
Le donne impegnate migliorano la società?
«Ovvio. Le donne sono portatrici di buon governo».
I settori più femminilizzati, scuola e magistratura, sono una frana. (Tace a lungo prima di rispondere)
«Se è vero, dipende dal fatto che, anche lì, le donne occupano poche posizione di vertice».
Matteo Renzi?
«Molto smart, tanto bluff».
Mattarella al Quirinale?
«Non mi è piaciuto che Renzi abbia imposto un proprio candidato. E con Mattarella ha riesumato la Balena bianca già inghiottita dal mare della Storia».
È questa l’Italia che vuoi per Manfredi?
«Per lui voglio una Repubblica presidenziale libera dal renzismo».