Atto n. 1-00168
Pubblicato il 17 settembre 2019, nella seduta n. 149
RAUTI , CIRIANI , BERTACCO , CALANDRINI , GARNERO SANTANCHE’ , IANNONE , MAFFONI , NASTRI , PETRENGA , RUSPANDINI , TOTARO , ZAFFINI , LA PIETRA
Il Senato,
premesso che:
la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 580 del codice penale che punisce il reato di istigazione o aiuto al suicidio, nella parte in cui incrimina le condotte di “aiuto al suicidio” a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario;
la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Corte d’assise di Milano, con ordinanza del 14 febbraio 2018, nell’ambito del procedimento penale relativo alla nota vicenda di Cappato e del dj Fabo;
all’esito dell’udienza del 23 ottobre 2018, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 207 del 2018, ha rinviato la decisione all’udienza pubblica del 24 settembre 2019, “per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina”, considerando, peraltro, “che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti”;
in sostanza il giudice costituzionale, con una tecnica decisoria a giudizio dei proponenti del presente atto di indirizzo assolutamente innovativa (e, per alcuni aspetti, sorprendente e discutibile), ha rivolto un monito stringente al legislatore nel rispetto del suo ruolo e di una asserita “leale collaborazione istituzionale” (indicando tempi e modi dell’intervento legislativo idoneo a colmare il ravvisato vulnus costituzionale), giustificando così il rinvio del giudizio in luogo di un’immediata pronuncia d’incostituzionalità;
appare evidente che, in attesa che il legislatore disciplini medio tempore la materia dell’aiuto al suicidio, la Corte ha fissato alcuni punti chiave: la tesi dell’illegittimità costituzionale, sostenuta dalla Corte d’assise di Milano, non può essere condivisa “nella sua assolutezza”; l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non è pertanto ritenuta di per sé incompatibile con la Costituzione, trovando anzi una perdurante giustificazione (anche nell’ipotesi di chi ne agevoli “in qualsiasi modo” l’esecuzione) nella finalità di “proteggere il soggetto da decisioni in suo danno”, creando intorno al soggetto “debole” una sorta di “‘cintura protettiva’, inibendo ai terzi di cooperare in qualsiasi modo con lui”; l’incriminazione non è in contrasto con il diritto alla vita né con un generico “diritto all’autodeterminazione individuale”; tuttavia bisogna tener conto di situazioni, “inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali”, nelle quali l’incriminazione dell’aiuto al suicidio entra in contrasto con i principi costituzionali, mettendo in discussione “le esigenze di tutela che negli altri casi giustificano la repressione penale dell’aiuto al suicidio”;
considerato che:
come hanno evidenziato anche molti costituzionalisti, il rischio concreto è che, in caso di “inerzia degli organi della produzione giuridica”, non resta che far affidamento alla “supplenza” dei giudici, che, nel caso specifico, avverrà verosimilmente proprio alla scadenza del termine fissato nell’ordinanza e presumibilmente nel perimetro di quei principi (di merito) già fissati dalla Corte medesima;
su una materia così delicata e rilevante occorre, invece, favorire il più ampio e consapevole confronto tra le forze politiche, al fine di addivenire ad una decisione quanto più condivisa e bilanciata tra le diverse sensibilità e posizioni in campo;
il 10 settembre 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenendo nell’Aula del Senato nel dibattito sulla fiducia, ha precisato che il tema del “suicidio medicalmente assistito” e il problema della sua eventuale depenalizzazione o legalizzazione non è oggetto del programma di Governo e che sarebbe “improprio” ricondurlo ad un’iniziativa governativa, considerato che esso involge “questioni politiche, morali, deontologiche e filosofiche”; ha, nel contempo, auspicato, che “il Parlamento trovi il modo e le occasioni per poter approfondire tali questioni e lo possa fare rapidamente” in quanto “diversamente si arriverebbe a una pronuncia della Corte costituzionale, che chiaramente ha un raggio di azione limitato, date le sue competenze”;
alla Camera dei deputati sono incardinate presso le Commissioni permanenti competenti alcune proposte di legge in materia il cui esame risulta di fatto bloccato non sussistendo le condizioni per addivenire all’adozione di un testo base;
a giudizio dei proponenti, al di là delle effettive difficoltà di giungere ad una soluzione condivisa, sono assolutamente non condivisibili le conclusioni cui è giunto il relatore per la XII Commissione permanente, on. Trizzino, il quale, nella seduta del 31 luglio 2019, prendendo atto del “fallimento del percorso intrapreso”, ha affermato che “il Parlamento non è pronto a compiere questo passo” e che pertanto si attende che “la Corte costituzionale emani la sentenza in materia”;
il Gruppo Fratelli d’Italia ritiene offensiva della dignità e lesiva dell’autonomia dell’istituzione parlamentare, il cui ruolo e la cui funzionalità non possono in alcun modo subire compressioni o limitazioni, questa sorta di “rinuncia a legiferare”,
delibera di avviare tempestivamente, in sede parlamentare, ogni iniziativa di competenza volta a garantire l’esame approfondito e l’approvazione, in tempi congrui, di provvedimenti recanti una disciplina specifica sul «fine vita».
Mozione RAUTI fine vita
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