Atto n. 3-01165
Pubblicato il 9 ottobre 2019, nella seduta n. 153
CALANDRINI , BERTACCO , DE BERTOLDI , IANNONE , LA PIETRA , MAFFONI , RAUTI , GARNERO SANTANCHE’ , URSO – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. –
Premesso che:
il CETA (Comprehensive economic and trade agreement, “Accordo economico e commerciale globale”) è un trattato internazionale che sancisce un accordo commerciale di libero scambio tra Canada e Unione europea. Il trattato è entrato in vigore, seppur in forma provvisoria, il 21 settembre 2017, in attesa della conclusione della fase di ratifica da parte degli Stati membri della UE;
tale accordo è entrato in vigore, inizialmente, in via provvisoria, solo nelle sue parti fondamentali. Come stabilito infatti il 5 luglio 2016 dalla Commissione europea, si tratta di un cosiddetto mixed agreement e deve essere comunque ratificato dai Parlamenti nazionali dei 28 Stati membri e di alcuni regionali, per un totale di 38 assemblee, per entrare pienamente in vigore. Il 17 gennaio 2018, tuttavia, il commissario europeo, Pierre Moscovici, in audizione nella Commissione per gli affari esteri dell’Assemblea nazionale francese, ha dichiarato che anche se un Parlamento nazionale o regionale della UE dovesse votare contro la ratifica del trattato, il CETA resterebbe comunque in vigore nella sua forma attuale e provvisoria, come già accade dal 21 settembre 2017;
l’accordo sembra non essere uno strumento efficace contro la contraffazione alimentare, perché protegge solo 41 sulle oltre 290 eccellenze certificate in Italia e permette la coesistenza, ad esempio, tra i nostri prodotti e gli storici produttori di parmesan locali. Fonti plurime, tra cui la Coldiretti, asseriscono, quale rilevante esempio, che per l’export di grana padano e parmigiano reggiano si conferma un calo del 30 per cento anche nei primi tre mesi del 2019, mentre l’arrivo del parmesan canadese aumenta del 13 per cento nel mercato europeo, principale mercato di sbocco per i due terzi delle imprese italiane dell’agroalimentare;
risultano essere limitanti per le imprese canadesi i divieti imposti dall’Italia alla presenza di organismi geneticamente modificati nell’alimentazione umana: in Canada circolano liberamente, in virtù dei trattati commerciali sussistenti con Usa e Messico, alimenti contenenti organismi geneticamente modificati non etichettati e per questo non tracciabili, ed è impossibile certificarli ogm-free, come chiede la normativa UE. Questi sono pertanto in contrasto con i limiti UE ai residui di pesticidi nel cibo, all’uso di ormoni e antibiotici nell’allevamento, all’uso sul grano in pre-raccolta del diserbante glifosato. Inoltre in Canada sono ammessi 99 pesticidi che in Europa sono vietati e non si può infine sottacere che negli allevamenti canadesi viene ancora usata come pastura una precipua tipologia di farina, indicata come origine della “Mucca pazza” e per questo bandita dalle aziende europee;
in particolare, un organismo geneticamente modificato è un organismo che possiede un patrimonio genetico modificato tramite tecniche di ingegneria genetica, che consentono l’aggiunta, l’eliminazione o la modifica di elementi genici che possono procurare allergia, abbassamento delle difese immunitarie quali fenomeni già accertati in numerosi casi;
gli interroganti rilevano che l’equilibrio dei sistemi agrari corre dei rischi, a causa di mutazioni transgeniche e dell’inquinamento genetico dovuto alle sperimentazioni. È necessario adottare una ferrea regolamentazione di settore per impedire le contaminazioni tra coltivazioni geneticamente modificate e quelle non;
tali organismi geneticamente modificati potrebbero produrre un danno all’ecosistema, dovuto agli incroci transgenici tra piante geneticamente modificate ed altre non trattate che sono coltivate nelle vicinanze. La modifica del genoma comporta una riduzione di attacchi da parassiti, insetti e virus contro i quali la natura ha predisposto la nascita di insetti di difesa. Sono diversi gli studiosi che temono una ripercussione negativa su questi ultimi, che causerebbe danni irreparabili all’ecosistema. Si pensi al lavoro delle api, alla loro scala gerarchica, all’impollinazione e alle api nutrici che selezionano gli insetti migliori;
il Ministero della salute, in collaborazione con il Centro di referenza nazionale per la ricerca degli OGM (CROGM) e l’Istituto superiore di sanità, predispone dal 2006 un piano nazionale triennale di controllo ufficiale sulla presenza di organismi geneticamente modificati negli alimenti, finalizzato alla programmazione e al coordinamento delle attività di controllo svolte in questo specifico settore da parte delle autorità sanitarie regionali e provinciali, in applicazione sia della normativa quadro del settore degli organismi geneticamente modificati, i regolamenti comunitari nn. 1829/2003 e 1830/2003, sia del regolamento (CE) n. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali;
alla luce di tali considerazioni è stata istituita la rete delle Regioni e autonomie locali libere da organismi geneticamente modificati, organizzazione nata nel 2003 per volontà di 10 regioni europee di far sentire la propria voce in materia di coltivazioni geneticamente modificate e dall’esigenza di accogliere la crescente preoccupazione e contrarietà dei consumatori europei. La rete, che conta attualmente 60 regioni europee per oltre 150 milioni di abitanti su 9 Stati, vuole ribadire la libertà di scelta dei governi europei di vietare le coltivazioni geneticamente modificate nei propri territori al fine di tutelare la biodiversità, le produzioni di qualità biologiche, tradizionali e tipiche, l’immagine di un territorio, anche in chiave turistica, per un’agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico;
manifestata la piena convinzione che l’Italia voglia avvalersi della facoltà, prevista dall’atto comunitarie, di escludere la coltivazione, sul territorio nazionale, di organismi geneticamente modificati autorizzati dall’Unione europea, alla luce dei potenziali effetti socio-economici negativi delle colture transgeniche sui vari sistemi agricoli locali, caratterizzati dalla tipicità e qualità dei prodotti e dal loro collegamento col territorio;
va ricordato che coltivare organismi geneticamente modificati in Italia sarebbe estremamente pericoloso, in quanto le piccole dimensioni delle aziende italiane non consentirebbero l’adozione di barriere naturali sufficienti a proteggere le coltivazioni biologiche e convenzionali. L’Italia peraltro può vantare un’inimitabile ricchezza della sua economia agroalimentare grazie alla propria “identità e varietà” dei prodotti locali, pertanto l’introduzione di prodotti agroalimentari senza una tradizione e una storia indebolirebbe un sistema che vive anche di un importante indotto turistico,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga di dover intervenire per difendere e accrescere la tutela dei prodotti alimentari sul mercato italiano, affinché permanga la tutela del marchio dei prodotti agricoli e alimentari tipici e il rispetto dei requisiti d’etichettatura previsti dalla normativa vigente, assicurando in tal modo l’informazione al consumatore;
se non intenda mantenere il divieto inerente alle coltivazioni geneticamente modificate nel territorio italiano al fine di tutelare la biodiversità, le produzioni di qualità biologiche, tradizionali e tipiche, l’immagine di un territorio, anche in chiave turistica, per un’agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico;
se non ritenga, infine, che la ratifica da parte dell’Italia del CETA, invece di rappresentare un’opportunità per il sistema Italia, si concretizzerebbe, al contrario, in un veicolo finalizzato a facilitare l’importazione di prodotti agroalimentari con standard di sicurezza inferiori a quelli europei.
[Fonte: www.senato.it]