Percorso:

255ª Seduta Pubblica – Intervento sulla relazione sui servizi antiviolenza e sul finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio

Resoconto stenografico in corso di seduta

RAUTI (FdI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAUTI (FdI). Signor Presidente, colleghi, Ministro, questa è la prima dichiarazione di voto dopo la discussione generale. Oggi quest’Assemblea si deve esprimere sulla relazione relativamente alla governance dei servizi antiviolenza e sul finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio.

Questa relazione – lo sottolineo – è stata approvata all’unanimità nella nostra Commissione di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere e all’unanimità approveremo oggi una risoluzione, “la risoluzione” che è stata presentata. Non capita spesso che si registri piena unanimità in Commissione e molto meno frequente è che si voti all’unanimità una risoluzione in Aula. Di questo sono contenta, perché non è questa una materia sulla quale ci si possa dividere. Lo fa solo chi è miope e piccolo. Anzi mi correggo: non è una materia, ma è una questione, qualcosa di più ampio e di più profondo, sulla quale – ripeto – non ci si può e non ci si deve dividere, a meno che non si abbia una visione miope e piccola della stessa questione.

Fratelli d’Italia voterà a favore della risoluzione e lo farà perché condivide gli impegni richiesti al Governo, ma soprattutto perché condivide quanto è contenuto nella relazione che abbiamo approvato in Commissione. Sostanzialmente, se dovessi sintetizzare, noi – e penso di poter dire noi – abbiamo chiesto più risorse da impegnare nella prevenzione e nel contrasto alla violenza sulle donne, abbiamo chiesto una puntualità e una semplificazione nei finanziamenti che sono di vitale importanza per la vita, la gestione e l’organizzazione dei centri antiviolenza e delle case rifugio.

Abbiamo chiesto anche una tempistica che non fosse improvvisata, ma certa e che fosse più lunga di quella anno per anno, sapendo perfettamente che purtroppo i finanziamenti previsti ogni anno non arrivano mai a destinazione nei tempi previsti e che troppo spesso i centri antiviolenza e le case rifugio devono fronteggiare l’emergenza nell’emergenza proprio perché non arrivano i finanziamenti nei tempi previsti.

Abbiamo introdotto altresì la parola monitoraggio per verificare l’effettiva erogazione. Insomma un grido per diminuire, anche qui o almeno qui, i mali della burocrazia, i passaggi, i rimandi, i rinvii per l’arrivo delle risorse e anche un aggiornamento nell’intesa Stato-Regioni. Insomma criteri più puntuali, requisiti chiari anche per gli enti gestori.

Quando si parla infatti di queste risorse, si parla di risorse che consentono nella realtà la presa in carico delle donne vittime di violenza e dei loro bambini. Non si tratta soltanto del momento emergenziale in cui si consuma per esempio la violenza domestica, ma si tratta del dopo. Ognuna di noi riceve una richiesta d’aiuto. Cosa rispondiamo quando una donna si avvicina o ci chiama e ci chiede aiuto? La dirigiamo al numero 1522, la dirigiamo ai centri antiviolenza, le diamo delle indicazioni. Sono realtà che accolgono le donne vittime insieme ai loro figli. Stiamo parlando di qualcosa di reale che deve essere mantenuto nella sua funzionalità e non può essere lasciato al volontariato. Esattamente come non si possono immaginare su questa materia interventi emergenziali e di segmento, ma interventi di sistema e non di settore, interventi nazionali, programmi di lungo periodo, di lunga durata e di visione ampia, oltre, molto oltre, la logica stretta dell’emergenza. Soprattutto non dobbiamo mai favorire lo scenario, che purtroppo si crea qualche volta anche nella percezione delle vittime, che, da un lato, ci sono le Istituzioni e, dall’altro, i centri antiviolenza, cioè la realtà di accoglienza. Questa metafora, questa immagine di separazione è un paradigma che va rovesciato, ma quando purtroppo si verifica, è anche una realtà da curare e da aggiustare.

Quando, per esempio, i fondi per il 2019 sono stati sbloccati nel mese di aprile, quindi ben in ritardo, il Paese si trovava in piena emergenza del lockdown. Faccio solo un piccolo riferimento; quei fondi sono stati sbloccati, è vero, ad aprile, ma erano già in ritardo e questo dipende dal meccanismo che purtroppo spesso diventa rimpallo di responsabilità del riparto nella Conferenza unificata Stato-Regioni. Non può essere però materia di disputa tra Governo e Regioni se in mezzo c’è – e c’è – la vita delle donne vittime di violenza e dei loro bambini.

Ora i fondi 2020 sono in discussione e mi auguro si arrivi celermente alla loro distribuzione sul territorio.

Voglio però tornare al momento in cui i fondi venivano sbloccati e al periodo drammatico del lockdown. Per le donne vittime di violenza il lockdown ha significato l’acuirsi dell’isolamento e l’aumento della pressione e dei maltrattamenti. Tra i mesi di marzo e maggio scorsi c’è stata un’impennata di richieste di aiuto, stimata pari al 73 per cento. A fronte di un aumento del 73 per cento delle richieste di aiuto – lo dico proprio per contrappunto – c’è stato un calo delle denunce pari al 43 per cento. Infatti, le donne non potevano andare a denunciare perché erano chiuse in casa con gli uomini maltrattanti e i loro aguzzini. Dopo la fine del lockdown la richiesta di sostegno e domanda di aiuto è aumentata.

Le strutture che abbiamo, che sono al di sotto di quelle previste e stabilite dalla Convenzione di Istanbul, non bastano ad accogliere tutte le domande e le richieste. C’è un problema di deficit quantitativo strutturale relativo al numero delle case rifugio, esattamente come c’è – ma è di carattere più qualitativo – un’eccessiva diversificazione, come diceva anche il presidente Valente, nell’offerta dei servizi territoriali. Questa è una discriminazione inaccettabile, perché una donna vittima di violenza non può essere più facilmente accolta al Nord, piuttosto che al Sud, o viceversa. Non può esistere discriminazione territoriale di sorta nell’offerta dei servizi. (Applausi).

Mi avvio a concludere, contenta di poter contribuire, con il nostro partito, a – lasciatemelo dire – questo clima di doverosa responsabilità e all’unanimità che decidiamo di conferire oggi alla decisione assunta da quest’Assemblea, nella convinzione profonda – lo dico davvero, in quanto sono anni che mi occupo di questi temi e cerco di contribuire anche in termini associativi e non solo come persona che fa politica – che le leggi le abbiamo adottate, ci sono, servono e sono una condizione necessaria, ma non sufficiente. Infatti, le leggi non bastano se non ci sono un cambio di paradigma, una rivoluzione culturale e anche progetti di recupero, attraverso i centri, degli uomini che compiono le violenze.

In questo clima odierno di unanimità voglio dire che non esistono copyright partitici e politici su questi temi, così come non possono esistere strumentalizzazioni politiche. Infatti, dobbiamo essere consapevoli che oggi noi qui diamo un piccolo contributo a una questione purtroppo metastorica e strutturale, a un mondo – quello delle violenze sulle donne e sulle bambine – che attraversa il mondo, a qualcosa che, purtroppo, è trasversale non solo ai secoli, ma alle geografie, alle società, alle etnie, alle religioni e alle economie.

Quello che facciamo oggi è quindi importante, ma dobbiamo essere consapevoli che è piccola cosa rispetto all’onda anomala delle violenze contro le donne. (Applausi).

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Dip. FDI - Attività parlamentare, Interventi in Aula Senato, Primo piano.