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27esimaora.corriere.it – Lo scontro tra Bonetti (Italia Viva) e Rauti (FdI) sulla strategia antidiscriminazione lgbt+

La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha portato avanti una campagna elettorale tesa a rassicurare tutti sulla responsabilità istituzionale del suo partito e sulla continuità con gli impegni assunti dall’Italia in Europa, anche in vista del Pnrr e dei suoi finanziamenti. Ora però arrivano le prime crepe. Riguardano una questione apparentemente minore, ma che in realtà chiama in causa i valori in cui si riconoscerà il prossimo governo italiano: l’atteggiamento nei confronti della minoranza lgbt+. Il governo Draghi, infatti, mercoledì ha approvato la Strategia nazionale lgbt+ 2022-2025, un documento di 30 pagine che impegna l’Italia a combattere le discriminazioni nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, nelle scuole, nelle università, negli ospedali, nelle carceri, nei club sportivi e sul posto di lavoro. Il documento era atteso da due anni, perché applica la Strategia dell’Ue per l’uguaglianza delle persone Lgbtiq 2020 – 2025 (la sigla sta per lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer; qui adotteremo la sigla semplificata lgbt+), il piano della Commissione Ue che mira a integrare l’impegno per l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani delle persone lgbt+ in ogni politica europea. E che raccomanda misure quali corsi di formazione sul tema per insegnanti, medici, agenti di polizia e guardie carcerarie, il monitoraggio del linguaggio omofobico nei media e l’aggiunta di clausole specifiche contro la discriminazione lgbt+ nei contratti di lavoro nazionali.

Tra le misure recepite dalla strategia italiana ci sono anche congedi parentali per i padri gay e le madri lesbiche e incentivi per l’assunzione delle persone transgender. E la previsione di indagini statistiche su discriminazioni e inclusione per avere un polso della situazione in Italia. «È un atto con cui il governo Draghi dimostra ancora una volta di aver saputo rendere concreti i diritti, come già fatto sui temi della famiglia e della parità di genere» ha detto a Repubblica la ministra delle Pari opportunità, Elena Bonetti, che ha portato avanti il piano. «La strategia è triennale, ci viene chiesta dall’Europa anche ai fini di finanziamenti per progetti specifici, per i quali è vincolante. Sarà responsabilità del prossimo esecutivo rispettarla o meno» ha aggiunto.

Ed è proprio questo punto ad aver suscitato immediate polemiche. Perché la coalizione di destra che ha vinto le elezioni e dovrà applicare la strategia è contraria da sempre alle misure antidiscriminazione varate dall’Unione europea. «Giudico grave che il governo uscente presenti una strategia nazionale pluriennale alla vigilia della nascita di un nuovo esecutivo e di un nuovo Parlamento» ha detto Isabella Rauti, responsabile Pari opportunità di Fratelli d’Italia. «Sarebbe stato più opportuno lasciarne l’adozione al prossimo esecutivo» aggiunge Simona Baldassarre, eurodeputata, responsabile del Dipartimento famiglia della Lega (partito che chiede per sé il ministero della Famiglia «e natalità»). Baldassarre ha criticato la strategia anche «nel merito», accusandola di contenere «forzature ispirate alle teorie gender, come i permessi parentali alle coppie omogenitoriali, in palese contrasto con la legge nazionale che vieta l’utero in affitto (la maternità surrogata, ndr), o addirittura incentivi a chi assume cittadini transgender, piegando il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge alla auto percezione delle persone».

La mossa della ministra Bonetti segna così un punto politico importante. Giorgia Meloni ha portato avanti una campagna elettorale in cui ha voluto tranquillizzare il resto d’Europa sul fatto che l’Italia non avrebbe rotto con l’Unione europea, e che il suo governo non sarebbe stato un Orbán II. È stato relativamente facile, con l’inflazione, il costo dell’energia e l’attuazione del Pnrr che hanno (comprensibilmente) monopolizzato il dibattito politico. La campagna elettorale ha lasciato poco spazio alle prese di posizioni identitarie. Ma la Strategia nazionale lgbt+ 2022-2025 — che pure è in piena continuità con le politiche europee, perché le applica a livello nazionale — fa emergere quanto, almeno sotto questo aspetto, ne siano distanti Lega e FdI. Che sui diritti civili sono più vicine all’Ungheria di Viktor Orbán o alla Polonia di Diritto e Giustizia che a Francia, Belgio, Spagna, Germania o Danimarca: e infatti hanno votato con questi Stati quando l’Unione europea ne ha sanzionato le politiche discriminatorie contro gay, lesbiche, bisessuali e transgender.

[Fonte: 27esimaora.corriere.it]

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