Percorso:

AirPress – La minaccia talebana ai diritti delle donne

All’inizio di settembre è stata uccisa Banu Negar Masoomi, incinta all’ottavo mese di gravidanza, era una poliziotta afghana che aveva prestato servizio come agente penitenziario nel carcere della provincia di Ghor.
È stata trucidata davanti ai suoi famigliari ed i sicari si sono accaniti sul suo corpo compiendo un rito macabro: l’estrazione del cervello dalla scatola cranica.
Lei non è l’unica vittima nel nuovo Afghanistan dei Talebani ma questa donna poliziotto è un simbolo di alcuni dei tanti traguardi sociali, civili e lavorativi raggiunti dalle donne afghane nel corso degli ultimi anni e l’estrazione del cervello è anch’essa un simbolo, quello dell’odio dei fondamentalisti nei confronti delle donne.
Tra i primi atti del neonato emirato islamico c’è, ad esempio, il divieto dello sport per le donne in quanto ritenuto “non necessario” e perché durante l’attività sportiva le donne afghane “potrebbero scoprire il volto e il corpo”, questo è quanto testualmente dichiarato dal vice capo della commissione culturale dei talebani che, in aggiunta, specifica e chiarisce: “l’emirato islamico non consentirà alle donne di giocare a cricket né di praticare un tipo di sport in cui vengano esposte”.
Basterebbe solo questo, ma non è solo questo, per capire che in Afghanistan siamo all’anno zero; la fulminea rivincita dei talebani annulla in un colpo tutti i traguardi raggiunti finora dal popolo afghano e polverizza le conquiste delle donne in settori fondamentali come la sanità, l’istruzione, la formazione professionale ma anche la partecipazione alla vita politica, sociale e amministrativa.
I leader talebani tentano di rassicurare l’opinione pubblica occidentale sul rispetto dei diritti umani fondamentali e sul ruolo di primo piano che le donne svolgeranno nell’Afghanistan dell’Emirato, ma quando un regime si appella alla Sharia come fonte di diritto, diventa difficile poterci credere.
Come è noto, tra il 1996 e il 2001 i Talebani al potere chiusero le scuole femminili, imposero alle donne il divieto di lavorare e di accedere liberamente all’assistenza sanitaria senza il consenso di un uomo della famiglia.
Oggi, tornano per le donne e per le bambine “gli anni bui”, il nuovo regime potrebbe chiudere le scuole, impedire alle donne di lavorare, cancellare la riforma del diritto di famiglia, reintrodurre i matrimoni forzati e precoci, nonché eliminare i principi di parità inseriti nella Costituzione.
Sono molte le donne nuove e coraggiose che in questi giorni sfidano i talebani, manifestano in piazza e vengono respinte con la forza, ma non si arrenderanno facilmente e forse saranno proprio loro le prime sentinelle nella difesa dei  diritti acquisiti e delle conquiste femminili, ottenute con fatica e sacrifici; traguardi che hanno consentito alle donne di diventare anche giudici e avvocati, amministratrici e medici, deputate e ministre, procuratrici, imprenditrici, commercianti ed economiste, e non solo, ma hanno consentito loro anche di poter viaggiare, fare sport, ascoltare musica e scegliersi un marito invece che subire un matrimonio combinato e mercanteggiato dalle famiglie.
Siamo comunque consapevoli che – seppure nel suo complesso, la situazione dei diritti umani e dei diritti delle donne in Afghanistan fosse enormemente migliorata dopo la caduta del Regime talebano (2001) –  i progressi riguardavano in particolare le aree urbane e molte donne erano rimaste indietro, se si considera che il 76% della popolazione femminile vive nelle aree rurali.
Nonostante i progressi, infatti, l’Afghanistan purtroppo è rimasto il paese dei suicidi femminili e delle “autoimmolate”, donne che si danno fuoco per disperazione, per protesta, per sfuggire alle violenze familiari. L’Afghanistan dei Talebani vuole coprire il corpo e l’esistenza delle donne, anzi vuole nascondere le donne al mondo ed il mondo agli occhi delle donne.
E non possiamo lasciare che siano soltanto le nuove donne afghane a difendere i loro diritti, la loro libertà di esistere è una responsabilità che va assunta e condivisa dalla comunità internazionale. Senza ipocrisie e senza infingimenti.

Isabella Rauti

Pagina 39 da Airpress 125
[File pdf – 158 Kb]

Questa voce è stata pubblicata in AirPress, Articoli pubblicati.