O madre o atlete. Insomma aut aut: così verrebbe da dire di fronte ai numerosi casi , comparsi sulla stampa – almeno quella più attenta e di settore – di donne dello sport italiano e della loro difficoltà, se non impossibilità, di conciliare le scelte di maternità con la pratica agonistica.
Stiamo parlando di un problema centrale ed irrisolto – e di cui poco si discute – del mondo dello sport: alla categoria degli sportivi non è riconosciuta tutela previdenziale complessiva e, quindi, le atlete non godono di alcuna indennità di maternità né di forme di sostegno nel momento in cui, per maternità, sospendono temporaneamente la prestazione sportiva.
La tutela della maternità nel settore sportivo è una questione così controversa perché l’operato delle atlete agoniste, anche di alto livello, resta nella sfera dell’attività dilettantistica e, si configura attualmente come un rapporto di lavoro parasubordinato o forse sarebbe meglio dire come un “non-lavoro”, con un rimborso spese più che un compenso. Alcuni sport, infatti, non vengono riconosciuti – secondo la Legge n.91 del 1981 – come professionisti e, per questa ragione, i contratti, sono di collaborazione sportiva per prestazioni di attività dilettantistiche. In questo senso, la maternità delle atlete non può essere contemplata né tutelata, in quanto nessuna delle discipline sportive femminili è ritenuta professionistica e compresa nell’ambito di quelle regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazioni dalla Federazioni sportive nazionali. E nello spazio che intercorre tra sport professionistico e sport dilettantistico, ma anche nelle sacche sommerse del falso dilettantismo, scivola il nodo – di non facile soluzione – della maternità non tutelata, che non trova cittadinanza nei “patti-contratti” e nelle scritture private tra società ed atlete.
Alla questione è dedicato il convegno – previsto oggi pomeriggio a Palazzo Rospigliosi a Roma – organizzato dall’Agenzia Regionale per lo Sport della Regione Lazio (Agensport) in collaborazione con l’Associazione Nazionale Atlete – ASSIST, e significativamente intitolato “Atlete e madri. Il diritto di continuare a vincere” . L’incontro – al quale è prevista la partecipazione, tra gli altri, della Ministra Meandri, del Presidente del Coni Petrucci e di alcune campionesse olimpiche – sarà l’occasione per una riflessione sulla promozione delle donne nello sport e, in particolare, sulla individuazione per le atlete di percorsi meno precari e meno discriminatori.
Il mondo dello sport italiano non può rimanere indietro, non riuscendo a garantire a donne e uomini, condizioni di parità di accesso alla pratica sportiva, a tutti i livelli ed in tutte le fasi della vita, così come indicato anche nella Risoluzione del Parlamento Europeo su “Donne e sport”. Si tratta, insomma, di dare alle atlete gli stessi diritti riconosciuti alle lavoratrici e, in attesa di colmare il vuoto legislativo o di correggere il difetto legislativo esistente, si potrebbe procedere con uno statuto delle sportive che preveda le tutele del caso – e che dia concretezza al principio di uguaglianza tra i sessi contenuto nell’art. 21 dello Statuto del Coni – e con linee guida contenenti forme di disciplina interna, cui le Federazioni sportive devono adeguarsi.
Si sa: la soluzione non è facile; ma se Totti fosse diventato… mamma invece che papà, qualcosa mi dice che l’avremmo trovata.
Isabella Rauti