In un momento come questo, di tagli ai bilanci, può sembrare strano parlare di bilanci di genere. Ma non è cosi. Anzi. Si vuole e si può, secondo una prospettiva di genere, valutare l’impatto – tagli compresi !- delle politiche economiche su uomini e donne.
Di questa materia complessa – ed in Italia davvero poco conosciuta – si è parlato a Roma nel riuscito convegno organizzato dal Comitato Pari Opportunità della Corte dei Conti; e quale luogo migliore per affrontare l’argomento e per creare strumenti – come recita il titolo dell’incontro – di scelte eque e consapevoli delle risorse.
La convinzione di partenza è che le politiche economiche non siano neutrali e non abbiano la stessa ricaduta su uomini e donne; e in questa direzione, e in quella di ristabilire condizioni di equità tra i sessi, è maturato al livello europeo un movimento che ha assunto forti caratteri istituzionali, come dimostra anche la Risoluzione (n.1.3.30) del luglio 2003 in cui il Parlamento Europeo “fa propria la definizione di gender budgeting”. Gli obiettivi europei alla base dei bilanci di genere sono quelli di equità, efficienza, trasparenza e consapevolezza; ma il gender budgeting non è soltanto uno strumento di trasparenza e di rendicontazione ma una misura di valutazione dell’efficienza complessiva delle politiche economiche.
Il bilancio, come sistema di politiche, punta alla efficacia della spesa pubblica ed un’ analisi di bilancio in ottica di genere mira a realizzare concretamente le pari opportunità. Ma non si tratta di elaborare bilanci separati per uomini e donne, quanto piuttosto all’interno delle azioni e delle politiche di bilancio, valutare le entrare e le uscite e “riclassificare” le voci in modo da assicurare la corrispondenza della spesa ad esigenze reali ed effettive. Il passaggio da una contabilità squisitamente economica ad una contabilità elaborata con l’ottica di genere, chiama direttamente in causa anche la questione delle autonomie locali e delle scelte politiche sul territorio (in particolare in termini di servizi) e nella distribuzione delle risorse pubbliche.
Non si tratta soltanto di una forma di analisi dei bilanci – comunque imprescindibile per valutare la ricaduta delle scelte politiche su uomini e donne – quanto, piuttosto, di utilizzare questo strumento come un mezzo per realizzare l’integrazione delle politiche, in chiave di reale efficienza e di rispondenza ai bisogni ed alle esigenze. L’idea sottesa al meccanismo è quella di democratizzazione delle politiche nella direzione dell’equità e della efficacia degli interventi, in un’ottica di rendicontabilità socialmente responsabile, e in una prospettiva di inclusione sociale; se è vero come è vero che le decisioni di bilancio influiscono sul modello di sviluppo socio economico e sui meccanismi di redistribuzione.
Ad oggi, lo stato dell’arte in Italia può annoverare molte sperimentazioni locali e progetti pilota; la sfida è, ora, quella di passare all’implementazione di procedure amministrative regolari ed all’inserimento della pratica dei bilanci di genere nelle pubbliche amministrazioni e nelle scelte politiche macroeconomiche. Ma prima di tutto questo e più a “portata di mano” dei tempi della politica, ci sono da discutere in Parlamento alcune proposte di legge che, in misura diversa, contengono disposizioni per l’istituzione di bilanci di genere ed affrontano la questione, non identica ma interconnessa, delle statistiche di genere. Nel mese di gennaio potrebbe essere inserita nell’agenda parlamentare la discussione e, sono a tutti a chiedersi e ad interrogarsi se riuscirà questo Governo, in occasione del recepimento della Direttiva Europea contro le discriminazioni e, soprattutto, in coincidenza con l’anno europeo per le pari opportunità, a chiudere il cerchio di un intervento normativo? Questa è una di quelle strettoie della politica che lasciano davvero poco spazio alle fughe.
Isabella Rauti