Percorso:

Secolo d’Italia – Casalinghe non solo

Da “Angeli del focolare” ad “acrobate del quotidiano”, sembrerebbe questa, in una battuta, la parabola del dinamismo femminile nelle società che cambiano. Lo sostiene  l’Eurispes sulla base di una Ricerca realizzata in collaborazione con le DonnEuropeeFedercasalinghe (Presieduta da Federica Rossi Gasparrini),  i cui risultati sono stati resi noti nel mese di giugno; l’indagine – infatti – affronta le criticità delle casalinghe italiane sempre più prese e divise tra lavoro e famiglia.
Il campione è sufficientemente rappresentativo e la rilevazione è stata realizzata  attraverso la somministrazione di un questionario a 1.035 donne, analizzate come risorsa sociale ed economica e come – diremmo noi – “stampella del welfare state ” e segmento quasi esclusivo nell’assunzione e nell’esercizio del lavoro di cura.

Il quadro che emerge è variegato e complesso, anche perché contestualizzato – e non poteva essere diversamente – con il progressivo peggioramento della situazione economica delle famiglie italiane, di cui proprio le donne sono testimoni  e le casalinghe pagano “il prezzo più alto”.

Le casalinghe sono, insomma, in “prima linea” nelle famiglie che, per prime subiscono e registrano le criticità dello scenario economico internazionale; sono le prime testimoni  del cambiamento: l’aumento dei prezzi al consumo; la ricerca di risparmio; la contrazione del potere d’acquisto;  la riduzione delle spese per il tempo libero; rinunce, cambi di abitudini e tagli al superfluo: sembra proprio che  siano le donne italiane ad doversi inventare  “la quadratura del cerchio”.

Lo stereotipo della casalinga , su cui si è fatta anche tanta letteratura  rosa e d’occasione, stenta a trovare cittadinanza  nei risultati dell’Indagine; il ritratto, infatti,  è molto più articolato e più corrispondente alla complessità femminile della società contemporanea. Si tratta di donne spesso costrette – come sottolinea il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara –  a“scegliere di rinunciare”, ma che sembrano avere un forte desiderio: riuscire a conciliare il lavoro e la famiglia senza l’attuale implicazione che uno elimini l’altro». L’aspirazione più diffusa è e  resta quella di poter “conciliare serenamente ambito familiare e lavorativo, ma anche salvaguardando il proprio tempo vitale ed il proprio benessere”. Ma prima, qualche dato, per introdurre la questione !

Dalla Ricerca emerge,  che “secondo il 72,4% delle donne fare la casalinga non rende la donna realizzata; solo il 24,4% è di quest’opinione”; e la maggioranza delle intervistate è , da un lato consapevole di svolgere un ruolo cardine e, dall’altro  sottolinea che potersi dedicare liberamente alla cura della famiglia (senza l’assillo del secondo stipendio) sia una fortuna non comune: si tratta del 41,6% contro il 54,2%. Viceversa,“Solo una minoranza (24,7%) ritiene che fare la casalinga renda la donna libera e autonoma, mentre il 70,7% crede il contrario”.

Più della metà (53,4%) delle donne intervistate non pensa che fare la casalinga riduca il ruolo della donna nella società, tuttavia un significativo 43,2% ritiene che sia così. Ma,  il 78,6% delle intervistate pensa che il buon funzionamento dell’economia familiare dipenda da loro ed,  inoltre, il 66,3% ritiene che dalla casalinga dipende la riuscita della famiglia. Risultano, complessivamente, più soddisfatte del proprio ruolo le donne dai 65 anni in su (22,5%), le meno soddisfatte le giovani dai 25 ai 34 anni (8,7%); tutte ribadiscono l’importanza cruciale del ruolo che, come tale, andrebbe valorizzato e tutelato economicamente.

Infatti,  “quasi un terzo delle donne (29,7%) ritiene che sia un diritto delle casalinghe ricevere uno stipendio mensile, in quanto esse svolgono un lavoro a tutti gli effetti entro le mura domestiche. Il 24,6% sostiene che lo stipendio deve essere corrisposto dallo Stato lì dove il reddito familiare è modesto mentre l’11,5% lega il diritto allo stipendio al numero di figli a carico”. Ben oltre la metà, il 65,8%, dunque, risponde positivamente alla domanda posta, schierandosi a favore del diritto allo stipendio mensile. E, solo il 25,2%,  è contrario sostenendo che l’attività di casalinga non possa essere equiparata al lavoro svolto fuori le mura domestiche. La Ricerca indaga anche, naturalmente, sulle  motivazioni che spingano le donne a non lavorare fuori casa; la maggior parte delle donne, “il 21,8%, non accetta un lavoro fuori dalle mura domestiche perché desidera occuparsi totalmente della propria famiglia. Il 15,7% invece, nonostante la volontà di intraprendere un’attività lavorativa fuori casa, afferma di non avere trovato un’occupazione. Il 14% pone, invece, al primo piano l’educazione dei figli” e per questo rinunciare ad un lavoro fuori casa. “Solo una donna su 10 (il 10,7%) non lavora fuori casa poiché il reddito familiare le consente di non lavorare”. Fuori da questa stima percentuale si colloca, quella condizione   – invero ancora  piuttosto diffusa – in cui  donne già lavoratrici, dopo il matrimonio decidono di abbandonare il lavoro (7,6%) e le casalinghe (5,1%) che decidono di non lavorare perché  il marito o la famiglia hanno un opinione contraria rispetto a questa scelta.  Si tratta nel complesso,  del 12,7% dei casi, in cui si riscontrano motivazioni ostative legate al costume ed alla mentalità tipiche delle società fordiste in cui era l’uomo che percepiva il reddito.

Una parte sostanziale della Ricerca/sondaggio – e forse la più interessante – si concentra molto sull’analisi del rapporto tra le casalinghe ed il mondo del lavoro extradomestico. Dai risultati emerge che “più di un terzo, il 35,5%, svolge un lavoro a tempo pieno, oltre alla quotidiana attività di casalinga, confermando l’importanza che attualmente la donna attribuisce alla dimensione lavorativa, nonostante le difficoltà che tale scelta comporti in ambito familiare. Il 16,6%, invece, dichiara di essere casalinga a tempo pieno e il 14,1% di percepire già la pensione. Tra quante sostengono di lavorare fuori casa, il 9,4% ha optato per un part-time orizzontale  contro il 2,9% di quante lavorano con part-time verticale. Il 6,4%, invece, ha un contratto a progetto e il 6% è assunto a tempo determinato. Il 4,5% confessa di lavorare senza contratto”. Comunque, in linea di tendenza  generale e complessiva emerge che è aumentato progressivamente il numero delle donne che si occupano della cura della casa e che, allo stesso tempo, hanno un’occupazione fuori casa. “ Il 35,5% del campione svolge un lavoro a tempo pieno fuori casa e si tratta, soprattutto, di donne con un’età compresa tra i 35 e i 54 anni, che vivono al Nord oppure nelle Isole. Le casalinghe più giovani sono quelle che lavorano nel 43,4% dei casi e che, allo stesso tempo, accettano in misura maggiore contratti di lavoro a progetto”. Complessivamente anche la Ricerca conferma la tendenza alla femminilizzazione dei  contratti di parasubordinazione che, aggiungiamo, spesso da forma di ingresso nel mondo del lavoro, rischia di diventare o diventa una forma strutturale per stare e restare; il settore lavorativo che risulta più recettivo per le casalinghe è quello impiegatizio (il 38,3% del campione) ma è consistente anche il gruppo delle libere professioniste  (circa l’11, 2%) mentre poco più del 10% è assorbito dal settore dell’insegnamento.  Dal punto di vista demografico,l’analisi sulla composizione familiare delle donne intervistate rivela che il 34% non ha figli. Le casalinghe che hanno uno o due figli sono, invece, rispettivamente il 23,2% ed il 27,8%. Si riduce, quindi, il numero di famiglie numerose, infatti, solo il 13,7% delle intervistate dichiara di avere più di due figli.

In linea di tendenza con gli esiti di altre ricerche di settore , anche questa dell’ Eurispes- DonnEuropeeFedercasalinghe, conferma il fenomeno del rinvio delle scelte di maternità. Si diventa mamme sempre più tardi; “A non avere figli sono soprattutto il 69,2% delle donne tra i 18 e i 24 anni e il 66,3% di quelle tra i 25 e i 34 anni. Dichiara di avere solo un figlio soprattutto il 30,9% delle donne che ha tra i 35 e i 44 anni; due quelle tra i 45 e i 64 (37,9%); più di due solo il 25% delle casalinghe che hanno oltre i 65 anni”.

Esiste, in tutte le rilevazioni degli Istituti specializzati e di settore, uno scarto oggettivo tra le aspettative dichiarate di fertilità ed i tassi di fertilità; a giustificarlo ed a spiegarlo concorre, come elemento massiccio la difficoltà economica che rappresenta il primo ostacolo dichiarato dalle donne come “impedimento”; inoltre, nella Ricerca in oggetto, la precarietà nel mondo del lavoro,  caratterizzata da poca o nessuna forma di tutela sociale previdenziale, spinge, poi, il 17,2% delle donne a rinunciare ad avere dei bambini per paura di perdere la propria occupazione. Seguono, tra le motivazioni addotte dalle intervistate, la scelta personale e/o di coppia; la carenza di offerta di servizi alla prima infanzia; problematiche di salute fisica.

La maggior parte delle donne del campione, ben il 65,7%, ritiene – comunque –  “che il lavoro o la carriera professionale costringano molte donne a rinunciare/rimandare la maternità. Sono soprattutto le ragazze tra i 24 e i 34 anni ad essere convinte che sempre più donne oggi sono costrette a rimandare o rinunciare alla maternità (76,8%)”.  Rispetto al rinvio ed alla rinuncia, la Ricerca indaga anche su quali misure statali potrebbero incoraggiare le scelte di maternità  e rendere più conciliabili i tempi di lavoro con quelli di vita, le legittime aspettative di procreare con le legittime (o necessarie) esigenze lavorative ed anche di progressione di carriera. La gerarchia delle risposte non stupisce, anzi conferma e consolida le consapevolezza acquisite in questo campo, che attendono – però – adeguati riscontri concreti:  si chiede l’ampliamento dell’offerta degli asili nido pubblici (ed anche di quelli aziendali); lo Stato deve intervenire per favorire forme di flessibilità dell’orario di lavoro e modelli più fattivi di organizzazione lavorativa; lo Stato deve impegnarsi per ridurre il cuneo fiscale per le donne in maternità; infine, non sembra prioritario ma comunque utile, l’istituzione di programmi di formazione/aggiornamento professionale al rientro dai periodi di congedo per lavoro di cura.

Insomma, le nuove casalinghe sono manager “dell’azienda famiglia”, non più “capitale dormiente”  ma produttrici di Pil e di … coesione sociale.

Isabella Rauti

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