Convegno CONFAPI – APID
“Il talento di Eva migliora l’economia”
Roma, 6-7 novembre 2008
Intervento della Prof.ssa Isabella Rauti , Capo del Dipartimento per le Pari Opportunità
Vi porto il saluto e gli auguri di buon lavoro del Ministro Mara Carfagna che non ha potuto essere qui, oggi, perchè impegnata a Lucca in una manifestazione e mi ha incaricata di rappresentarla in questo importante incontro. Il Ministro per le Pari Opportunità si sta fortemente impegnando sul fronte dell’imprenditoria femminile ed ha accolto con particolare favore il ritorno – contenuto nella Delega conferitale – alla “casa madre” direi, dell’imprenditoria femminile. Il Ministro ha intenzione di investire politicamente molte energie, per rilanciare il settore dell’Impresa femminile e per rinsaldare i rapporti di collaborazione tra il Ministero per le Pari Opportunità e il mondo dell’imprenditoria; e posso annunciarvi che è in via di ricostituzione il Comitato per l’Imprenditoria femminile e, inoltre, che il Dipartimento per le Pari Opportunità, insieme ad Unioncamere e al Ministero dello Sviluppo Economico, sta lavorando alla stesura del Secondo Rapporto nazionale sull’Imprenditoria femminile, che sarà pubblicato nei primi mesi del prossimo anno.
Questo, solo in un accenno, il perimetro delle attività istituzionali di riferimento, come doverosa comunicazione, ma vorrei prendermi la libertà di aggiungere qualche considerazione e riflessione anche personale sul tema, davanti a una platea come questa, nazionale e internazionale, che in questa sua “due giorni” riflette, si incontra, si osserva e si confronta sul tema dell’imprenditoria femminile, e lo fa con un titolo che mi ha molto colpita e che mi ha anche fatto capire che in fondo si arriva sempre alle stesse conclusioni quando si cammina con determinazione su una strada dritta. “Il talento di Eva, migliora l’economia”, così si afferma e mi trovo profondamente d’accordo, anzi ne sono convinta e su questo tornerò brevemente nelle conclusioni.
Una “due giorni”, quindi, – dicevamo – di confronto e di riflessione non solo sui temi dell’imprenditoria femminile ma anche, più in generale, sull’economia e sulle condizioni del lavoro femminile italiano e sulla presenza delle donne nel mercato del lavoro, come si accennava anche negli interventi che mi hanno preceduta. Insomma, riflessioni su quel 46,6% di occupazione femminile (fonte Eurostat), dato sicuramente di 10 punti percentuali inferiore alla media della occupazione femminile europea e, soprattutto, dato che in sè nasconde altre considerazioni possibili; un tasso basso di occupazione femminile che, se scomposto, ci parla di situazioni lavorative difficili; di condizioni occupazionali inferiori alla formazione curriculare (sempre più di eccellenza, conseguita dalle donne); di difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro con le donne che sostano più a lungo nell’area di “pre-occupazione” rispetto ai loro colleghi maschi; e se entrano nel mondo del lavoro a parità di condizioni, devono lottare per permanere e rimanere nel mondo del lavoro e devono lottare per rientrare nel mondo del lavoro, qualora ne siano uscite per questioni legate al cosiddetto lavoro di cura, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che, per le transizioni demografiche, non è più soltanto la crescita dei figli ma, quella congiuntura della crescita dei figli che si lega strutturalmente all’assistenza della terza e della quarta età e questo può creare un meccanismo che rischia di escludere la donna dal mercato del lavoro proprio nel momento centrale della sua vita professionale. Ma queste considerazioni ci porterebbe lontano, quindi ci limitiamo solo a degli accenni e al ribadire che “quel 46,6%” se ragionato e scorporato, ci parla molto di lavoro temporaneo e determinato, a tempo parziale, spesso di basso rango, con differenze salariali e retributive a parità di condizione lavorativa, quindi dietro il dato si nascondono molte criticità che inducono tutti, ognuno per le sue responsabilità professionali ed istituzionali, a fare di più e a ribadire che la presenza delle donne nel mondo del lavoro non è una questione o una rivendicazione di donne ma una questione di PIL, di prodotto interno lordo, ed è una delle questioni cruciali dell’intero mercato del lavoro! Ma voglio tornare al titolo dell’incontro e al settore che vi vede protagoniste, impegnate come imprenditrici sul territorio nazionale e internazionale; l’imprenditoria femminile, rispetto al panorama generale, è un settore in controtendenza perchè continua a registrare un trend positivo. E questo non lo dico io ma lo dicono, con evidenza statistica, gli studi di settore e tutti gli osservatori specializzati; non da ultimo lo conferma anche la relazione dell’Osservatorio Imprenditoria femminile Unioncamere-Infocamere, relativa al triennio 2003-2006, che ha rivelato un incremento del 5,4% dell’impresa femminile e, dato nel dato, un incremento percentuale del 2,75 di donne che vanno a ricoprire – finalmente – posizioni decisionali e di responsabilitˆ nell’impresa. Infine, è sufficiente prendere l’ultima indagine semestrale realizzata da Unioncamere, relativa al primo semestre 2008, per verificare un incremento positivo con 5.523 nuove imprese rosa (+0,45% in un anno), inoltre se non ci fosse stato tale incremento positivo dell’impresa femminile, il saldo complessivo sarebbe stato negativo.
Quindi, semplificando, un doppio valore aggiunto: incremento in sè e incremento che riscatta il possibile saldo negativo. Sono dati importanti, anzi sono fatti di fondamentale importanza, e poi, ancora, se andiamo a guardare la composizione, le strutture e le storie, dell’impresa femminile, vediamo quanta particolare attenzione venga posta rispetto a quei temi – a mio avviso di grande rilevanza – come la responsabilità sociale dell’impresa, il richiamo a un’impresa etica, l’utilizzo di codici etici e sappiamo anche, quanto impegno femminile venga profuso su questo fronte da parte dell’impresa femminile!
Le imprese femminili crescono. Crescono con ritmo costante, anche se – e voglio dirlo senza nessuna polemica – e pure questo è un dato di evidenza scientifica e statistica, scontano uno svantaggio nel sistema del credito bancario. Mi riferisco a quanto comparso di recente su “Economy”, che ha anticipato i primi risultati dello studio “Do women pay more for credit? Evidence from Italy”, condotto dall’economista Alberto Alesina – in collaborazione con i colleghi Francesca Lotti e Paolo Emilio Mistrulli – sul credito d’impresa nel triennio 2004-2006.
Dallo studio si evince che in Italia “i tassi d’interesse sui fidi bancari per le imprenditrici sono più alti dello 0,3%”, con un’evidente disparità di trattamento tra le aziende guidate da uomini e quelle con a capo una donna e, tale differenziale, lieviterebbe per arrivare allo 0,6% se l’imprenditrice o l’aspirante imprenditrice si avvale di una garante donna.
Quindi, c’è una resistenza ancora, certo marginale rispetto a un tempo, minimale rispetto a prima, eppure c’è come c’è una discriminazione che, tecnicamente, si definirebbe indiretta; discriminazione rispetto – appunto – alle aziende condotte da donne.
Ma non voglio togliere altro tempo alle vostre riflessioni e, mi avvio veramente a concludere, dicendo che , come è stato accennato nella relazione che mi ha preceduto, dobbiamo confrontarci con la scarsità e, come è stato già detto, con una “riconsiderazione” della Legge sull’imprenditoria femminile; ma nel farlo non dimentichiamoci che la Legge n. 215 del 1992, contenente “Azioni positive per l’imprenditoria femminile” – che ha avuto sicuramente difficoltà di attuazione, ha scontato limiti burocratici di avvio e di implementazione – non ha mai avuto, nello spirito dei suoi estensori, un atteggiamento di tutela assistenziale; non ha mai guardato alle donne come soggetti deboli e incapaci da assistere, anzi ha rovesciato una prospettiva e la legge ha voluto investire sulle donne, considerandole risorse importanti e fondamentali per il Paese e nuove soggettività produttive.
E le donne imprenditrici hanno risposto; le donne che fanno impresa e soprattutto le donne che “per prime fecero l’impresa” anche in condizioni di oggettiva difficoltà, hanno risposto allo spirito di quella legge dimostrando tutta la loro capacità e vocazione a mettersi in gioco, ad agire in prima persona, a stare in prima linea, a inventarsi da sole un lavoro quando il lavoro non c’è e, anche e non è un caso, ad assumere a catena altre donne e quindi a creare lavoro, a produrre lavoro e a produrre occupazione femminile. E, allora, se fossero solo i dati a parlare! Ma ci sono anche le storie personali delle imprenditrici – ne conosco alcune come conosco talune di voi – che parlano chiaro e che dimostrano che mai titolo di convegno fu cos“ ben scelto!
E non solo mi permetto di condividerlo ma anche di assumerlo, nel ruolo istituzionale che ricopro: perchè è vero che il talento di Eva è un aiuto all’economia, anzi personalmente ritengo che le donne rappresentino nella politica, nell’economia e in tutti i luoghi della decisione un oggettivo valore aggiunto.
E quando si comprenderà questo valore si riuscirà a superare quella metafora simbolica ma riassuntiva – utilizzata dall’Istat per analizzare la presenza delle donne nel mercato del lavoro ma anche nella politica – della cosiddetta “struttura ad imbuto”. Triste paradigma applicabile a tutti i campi e, pure, a tutti i settori dell’occupazione femminile: ossia, anche laddove ci sono molte donne impegnate, poche raggiungono le posizioni di vertice, le posizioni apicali e la “struttura ad imbuto” dimostra, appunto, che salendo i numeri delle donne si restringono, quando – addirittura – non scompaiono.
Penso davvero, e concludo, che Eva, e Lilith e tutte le altre, aiutino non solo l’economia, ma aiutino la politica, sicuramente aiutano l’impresa e aiutano il sistema paese.
Grazie.