Atto n. 4-06460
Pubblicato il 18 gennaio 2022, nella seduta n. 396
DE CARLO , CIRIANI , NASTRI , RAUTI , GARNERO SANTANCHE’ , PETRENGA , CALANDRINI , IANNONE , LA PIETRA , DE BERTOLDI – Ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, della salute e della transizione ecologica. -Premesso che:
alla data del 17 gennaio 2022 si apprende che il Ministero della salute ha confermato che il numero dei comuni italiani compresi nella “zona infetta” dalla peste suina africana è salito a 114, situazione che, oltre ad incidere sulla salute della fauna selvatica, rischia di avere pesanti ripercussioni anche sugli allevamenti e sull’export agroalimentare;
già in questi giorni, come annunciato da Confagricoltura sono arrivati i primi fermi alle esportazioni di salumi e carni suine made in Italy. A bloccare precauzionalmente gli acquisti dall’Italia di prodotti dopo la scoperta di nuovi casi di peste suina africana sono stati Cina, Giappone, Taiwan e Kuwait. A queste si aggiungono le prime restrizioni anche dalla vicina Svizzera. Dall’ultima nota del Ministero della salute del 12 gennaio viene chiarito che non è riconosciuta alcuna regionalizzazione per la PSA verso Repubblica popolare cinese e verso il Giappone, il certificato sanitario non può essere pertanto rilasciato né per carni né per prodotti; inoltre per tutti i carichi in transito e in dogana verso il Giappone sono attualmente bloccati in attesa delle valutazioni dell’autorità giapponese;
verso Taiwan è stata formalizzata la sospensione dell’esportazione a partire dal 10 gennaio mentre verso la Corea del Sud attualmente non è stata formalizzata alcuna sospensione ma sono in corso scambi di informazioni per le eventuali ulteriori valutazioni da parte dell’autorità competente coreana;
considerato che:
il patrimonio suinicolo italiano è costituito da circa 8,5 milioni di capi; circa 10,7 milioni di capi all’anno nascono, vengono allevati e macellati in Italia mentre poco meno di 700.000 suini nascono all’estero e vengono allevati e macellati nel territorio italiano. L’aspetto comunque più significativo è che a fronte della produzione italiana di circa 1,4 milioni di tonnellate di carne, altrettante 1,1 milioni di tonnellate vengono importate dall’estero. Nei prosciuttifici italiani circa 3 prosciutti su 4 sono prodotti da cosce estere in virtù del fatto che anche i prodotti IGP possono essere prodotti con carne estera;
da 20 anni la suinicoltura italiana si trova in forte crisi economica proprio a seguito dell’entrata dall’estero di cosce fresche, congelate (e anche di suini vivi), poi lavorate dall’industria di trasformazione italiana in prosciutto cotto e prosciutto crudo caratterizzati da una denominazione commerciale che richiama all’italianità solo perché lavorati in Italia. L’Italia pertanto dipende fortemente dall’importazione di carne dall’estero. Il grado di auto approvvigionamento viene stimato circa del 64 per cento. La produzione tutelata DOP è sempre più mortificata dalla mancanza di trasparenza commerciale sull’origine delle cosce cotte, crude salate e stagionate in Italia ma di origine estera;
preoccupa gli allevatori di suini e l’industria di trasformazione che i canali di commercializzazione non riconoscano, in maniera ingiustificata, il principio della regionalizzazione. È necessario che vengano riconosciute le misure adottate dall’Italia quale garanzia di salubrità della produzione nazionale. Viene altresì stimato un possibile impatto da mancate esportazioni di almeno 20 milioni di euro per ogni mese di sospensione dell’export (fonte: ASSICA);
tenuto conto delle preoccupazioni mosse dalle associazioni di allevatori circa la tenuta economica del settore, di quanto riportato nel resoconto della riunione tecnica avuta luogo tra Ministero, Regioni, Cerep, ISPRA il giorno 11 gennaio 2022 ed inoltre di quanto in precedenza previsto nel piano di gestione del cinghiale e della peste suina africana del 21 aprile 2021, in cui è ribadito che: “le conoscenze disponibili portano a ipotizzare che una gestione faunistico-venatoria improntata alla riduzione generalizzata delle densità, attuata prima dell’arrivo della PSA, possa contribuire a gestire con maggior efficienza l’area infetta”; “La riduzione della densità dei cinghiali è anche uno degli strumenti individuati con cui le autorità comunitarie stanno orientando le misure di prevenzione nonché di lotta alla malattia” e che “La riduzione generalizzate delle densità di cinghiale andrà perseguita e mantenuta nel tempo in quanto il rischio PSA sarà prevedibilmente alto anche nel futuro, indipendentemente dal riscontro di focolai”;
al fine di evitare ulteriori ripercussioni sulla salute della fauna selvatica il cui rischio più grande è di avere pesanti ripercussioni anche sugli allevamenti e sull’export agroalimentare,
si chiede di sapere:
quali delle disposizioni previste dalle linee guida del piano di gestione del cinghiale e della peste suina africana del 2021 siano state messe in atto e con quali risultati;
quale sia la strategia di tutela e salvaguardia dell’intera filiera suinicola sia da un punto di vista sanitario che economico;
se non si ritenga di intervenire immediatamente applicando un efficace programma di gestione del cinghiale, non solo per la salvaguardia delle produzioni suinicole nazionali, dell’indotto della salumeria italiana e dell’export dei prodotti carnei trasformati, ma per la salvaguardia della specie di cinghiale stessa che senza un controllo nella densità di popolazione rischia una pandemia diffusa ed incontrollata.
[Fonte: www.senato.it]