Percorso:

Italia Oggi – C’è chi vuol bruciare le carte

L’extrasinistra preferisce spegnere chi la pensa diversamente

Come si permette la Biblioteca nazionale centrale di Roma di riordinare, inventa-riare, catalogare e addirittura rendere disponibile al pubblico l’archivio e la biblioteca personale di Pino Rauti? Appena appresa la notizia, divulgata dallo stesso direttore Andrea De Pasquale con un comunicato che ha trovato spazio soprattutto su quotidiani della capitale, si sono mosse alcune decine di firmaioli per protestare. Anzi, per intimare, come titola il manifesto: «Si dimetta il direttore della Biblioteca nazionale».

A contestare l’iniziativa sono rifondaioli, reduci di Democrazia proletaria, studiosi di Marx e di Gramsci, da Raul Mordenti a Romano Luperini, da Guido Liguori a Lelio La Porta. L’archivio era già stato riconosciuto d’interesse storico particolarmente importante nel 2017 dalla competente Sovrintendenza del Lazio. Comprende quasi 2. mila unità archivistiche e poco meno di 3 mila volumi. Gli insoddisfatti giudicano «l’entusiastico messaggio… infarcito da frasi di autocelebrazione dello stesso Pino Rauti (che avrebbe progettato e ordinato la costituzione del fondo)» e si dolgono perfino per le «commosse» dichiarazioni della senatrice Isabella Rauti, figlia di Pino.

Ovviamente sul defunto politico piovono accuse di vario genere. La sua attività culturale è bollata come «presunta», mentre si nega il «valore documentario» del fondo perché approntato dallo stesso Rauti. Ai protestatari riesce «intollerabile che un’istituzione culturale, dedicata al presidio e alla custodia dei beni comuni, si prodighi e impieghi risorse pubbliche per sostenere interessi propagandistici di forze e correnti di chiaro stampo fascista». Ergo, il «dott. De Pasquale» si dimetta «dal prestigioso e delicato incarico».

È facile prevedere che la polemica avrà strascichi, interventi parlamentari compresi. Per ora, risulta rimosso dal sito internet dei beni culturali il comunicato oggetto di tanto sdegno. Dunque, gli archivi pubblici non dovrebbero rendere consultabili documenti di provenienza politica sgradita o riprovevole, a giudizio ovviamente degli avversari. Anche ammettendo che ci fosse unanimità nella valutazione politica, significherebbe censurare carte in nome della loro provenienza, non del loro interesse storico. Ogni testo originario, per dire, degli uffici di Stalin non dovrebbe essere raccolto.

Simili monumenti di faziosità non sono esternati per la prima volta. Quando Licio Gelli donò le proprie carte all’Archivio di Stato di Pistoia, si levò un coro di proteste, soltanto in parte ridimensionate da un intervento pubblicato su l’Unità (15 febb. 2006) da chi era stata magna pars nell’organizzare l’evento, la docente di archivistica Linda Giuva, la quale aveva a proprio vantaggio l’essere moglie di Massimo D’Alema. Peggio ancora capitò a Raul Gardini, la cui voce, inserita nel volume LII del Dizionario Biografico degli Italiani, generò riprovazioni da moralisti in servizio permanente, Giorgio Bocca su tutti (la Repubblica, 20 ott. 1999). Se si ammettesse l’intromissione di giudizi etici nell’inserire o no voci enciclopediche o per accogliere presso istituzioni documenti di personaggi ritenuti riprovevoli, si ridurrebbe la documentazione storica a qualche pallido riferimento sull’attività di madre Teresa di Calcutta o poco più.

[Fonte: www.italiaoggi.it]

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Rassegna – Italia Oggi – “C’è chi vuol bruciare le carte”
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