di Isabella Rauti
Dal 28 dicembre scorso in Iran dilagano le proteste popolari e, non solo a Teheran ma, complessivamente, in più di cento città e nei paesi; anche a Kermanshah, nella parte occidentale del paese, a Shiraz ed a Mahshahr, nel sud dell’Iran, a Karaj, ad ovest di Teheran. Proteste contro il regime teocratico, scontento diffuso favorito da provocazioni straniere, rivolte sociali ed economiche contro il “carovita” e la disoccupazione, contro la corruzione…: un mix confuso di motivazioni diverse che gli analisti si sforzano di interpretare ma un fatto è certo, la gente, in particolare i giovani e le donne – come è stato per le cosiddette “primavere arabe” – scende nelle piazze, armata di coraggio e lancia una sfida che va oltre la differenza tra riformatori e conservatori per chiedere un cambiamento!
L’icona mondiale delle rivolte iraniane è diventata, per i media internazionali, la ragazza che in piedi sopra una centralina elettrica in Via della Rivoluzione a Teheran, a capelli sciolti, agita un bastone a cui è legato il velo bianco che dovrebbe obbligatoriamente coprirle la testa; la giovane in silenzio, con quel suo gesto grida al mondo intero: libertà! Libertà di esser-CI, di manifestare, di vestirsi o scoprirsi, di sentire il vento tra i capelli, di non indossare l’hijab. Libertà di dissenso e voglia di futuro! E’ femminismo questo? Credo proprio di sì, anche; in un Paese che tale scelta e tali comportamenti li persegue penalmente! La ribellione femminile contro la sudditanza è un nodo della protesta popolare ed è contro il regime degli ayatollah? Non lo sappiamo con certezza ma, sicuramente, è una rivolta all’obbligo di indossare il velo, che non è solo una tradizione e consuetudine religiose ma un’imposizione culturale e politica; è una rivoluzione della subalternità femminile e, tanto ci deve bastare per difendere diritto delle donne alla libertà. Per alzare la voce, al livello internazionale, a sostegno delle donne che si fanno protagoniste ed agenti di cambiamento, rischiando la prigione e la tortura.
Ma andiamo per ordine. La foto della ragazza è diventata la bandiera delle rivolte iraniane di questi giorni e tale resterà anche se, dobbiamo ricordarlo perché aiuta a ragionare, si tratta di una manipolazione delle notizie. La foto, infatti, è antecedente ai giorni delle proteste, è stata scattata in uno dei “#White Wednesday” (secondo alcune fonti, mercoledì 27 dicembre), quei “mercoledì bianchi” della campagna on line lanciata dall’espatriata ed esule iraniana negli Stati Uniti, giornalista ed attivista per i diritti delle donne, Masih Alinejad; campagna condivisa dal movimento di protesta “My Stealthy Freedom” che si batte – dal maggio 2014 – contro l’imposizione del velo, l’obbligo per le donne di coprire il capo in ogni occasione pubblica. E’ da oltre tre anni, quindi, che sul web viaggia la protesta femminile ed è dall’estate 2017 che sui social network è diventata virale la campagna di sensibilizzazione del “velo bianco” del mercoledì il cui simbolo è, appunto, una donna con i capelli al vento mentre sventola il proprio velo. L’iniziativa ha coinvolto migliaia di donne che hanno pubblicato sui loro profili personali o partecipato indirettamente inviando foto e video, in cui si ritraggono di mercoledì senza velo in testa. Molte donne iraniane – rischiando! – hanno aderito agli “appuntamenti del mercoledì”, per protestare contro le imposizioni del regime sul copricapo e sull’abbigliamento femminile e contro uno status quo misogino; una rivoluzione femminile silenziosa che vuole cambiare un Paese in cui le donne hanno votato per la prima volta nel 1967 e che si trova in quart’ultima posizione – su 144 Paesi – nella classifica stilata dal World Economic Forum sul Global Gender Gap. Questo movimento rivendica la libertà di indossare o non indossare il velo nazionale islamico, non si oppone all’identità culturale e religiosa islamica ma alle strumentalizzazioni politiche ed alle imposizioni patriarcali. Le femministe iraniane che combattono l’obbligo del velo, pagano di persona e rischiano in proprio e sulla loro pelle ed è questo che vorrei ricordare a quelle nostrane, coma la Boldrini e la Mogherini che, nelle visite nei Paesi Islamici o più semplicemente alla comunità islamica romana, si sono coperte il capo senza l’obbligo di doverlo fare, in quanto rappresentanze istituzionali! A differenza della Premier Theresa May e di Angela Merkel; della campionessa mondiale di scacchi dell’Ucraina che non ha gareggiato in Arabia per non indossare il velo e , da par suo, anche di Marine Le Pen, ai tempi della sua candidatura alle Presidenziali. C’è chi chiacchera e c’è chi fa!
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