di Chiara Valentini
Welfare. Servizi. Pari opportunità. La signora Alemanno annuncia i temi su cui affiancherà il marito. E spiega il suo modello ispiratore: quello emiliano. Colloquio con Isabella Rauti.
Un gran mal di testa che non le passa da giorni e giorni è la più vistosa conseguenza che ha provocato nella vita di Isabella Rauti in Alemanno l’essere improvvisamente catapultata nel ruolo tutt’altro che pacifico e scontato di first lady di una città labirintica come Roma. Dove dovrà vedersela con la pressione dell’elettorato che ha votato suo marito immaginandolo capace di miracolare la capitale e con le paure di quell’altra fetta di cittadini che al contrario si aspetta l’arrivo degli Unni. Al momento di mettersi sotto i riflettori Isabella Rauti sa anche che non è facile conciliare i pezzi diversi della sua vita. Perché la militante dell’estrema destra cresciuta a letture di Julius Evola e Pierre Drieu La Rochelle e vissuta nell’atmosfera ribellista del Fronte della gioventù è anche la ragazza che più tardi aveva scoperto la disuguaglianza femminile. Oltre ad avervi dedicato un paio di libri, era arrivata nel 2004 a guidare l’ufficio nazionale di Parità del ministero del Lavoro, prima con Roberto Maroni ma poi anche con il diessino Cesare Damiano. E quando qualche mese fa l’incarico era scaduto e lei era tornata al suo lavoro di docente a contratto di Politiche europee all’università privata San Pio V, Barbara Pollastrini l’aveva chiamata come consulente al suo ministero.
Madre di un ragazzino dodicenne, Isabella Rauti, 46 anni ben portati, abita con la famiglia in un attico gradevole e pieno di luce, ma in un quartiere non proprio trendy come la Balduina, dove d’altra parte è nata e cresciuta. È fra le pochissime mogli di un leader della destra di governo a non essere stata sostituita da un’altra signora nel corso degli anni. E forse anche per questo papa Ratzinger ha gratificato la coppia di un caloroso saluto fuori protocollo, all’apertura del mese mariano.
Signora Rauti, se l’aspettava questo tsunami che ha portato suo marito al Campidoglio?
“No, almeno all’inizio. Era ancora fresco il ricordo di due anni fa, quando Gianni aveva accettato di candidarsi contro Veltroni per puro spirito di servizio e avevamo avuto la percezione plastica di un potere così articolato e ramificato da sembrare imbattibile. Poi, dopo il 40 per cento di voti al primo turno, ho capito che si poteva anche vincere. Ma mai avrei pensato a sette punti di vantaggio”.
Come li spiega?
“In campagna elettorale incontravo gente che non aveva mai partecipato al mondo della destra. Molti hanno dovuto farsi coraggio per votare la nostra parte. Ma negli ultimi tempi il malcontento per una gestione che mirava più all’apparire che all’essere era grandissimo. Giravano barzellette rivelatrici, come quella di un signore che dice al vicino:’C’è una buca enorme davanti a casa mia’. E l’altro: ‘Chiama Veltroni che ci fa sopra un concerto'”.
Barbara Palombelli, in una sua trasmissione alla radio, ha sostenuto che a far vincere Alemanno sono stati i cosiddetti poteri forti della città, schierandosi con lui all’ultimo momento.
“Se lo avessero fatto vorrebbe dire che prima stavano da un’altra parte. Ma credo che questi poteri forti sappiano che con il nuovo sindaco dovranno stare fermi un giro. Altrimenti dove andrebbe a finire il rinnovamento che è stato promesso?”.
In questi primi giorni lei ha dato l’impressione di una first lady riluttante ai ruoli decorativi.
“Intanto non mi piace la definizione di first lady, mutuata da culture diverse dalla nostra. E poi noi siamo una vecchia coppia politica, e questo modifica il quadro”.
Vuole dire che si propone di essere una specie di eminenza grigia, di sindaco ombra?
“No, questo no. Non sarò presenzialista, ma sarò presente. Mi guarderò bene dall’esprimere la mia opinione su tutto, ma lo farò sulle materie in cui sono competente. Dirò la mia sul welfare, sulla politica dei servizi, sulle pari opportunità. Proporrò il bilancio di genere, dove ogni spesa deve essere valutata in rapporto ai benefici che porta a ognuno dei due sessi. Cercherò di far passare anche a Roma il piano sulla conciliazione dei tempi, per rendere meno pesante la vita delle donne che lavorano”.
Ma questo è il modello emiliano. Non è un po’ strano che sia proprio lei a proporlo?
“Sulle questioni pratiche, specie per quel che riguarda le donne, credo alle politiche trasversali. Per tre anni ho guidato la rete delle 220 consigliere di Parità e non ho mai avuto dissensi, anche quando il governo è cambiato. Altrimenti mi sarei dimessa”.
Finirà anche lei per frequentare le eminenze grigie della politica romana, cioè i salotti?
“Veramente preferisco i caffè letterari. I salotti mi sembrano più consoni alla sinistra che ha appena perso, ma non mi metterò a fargli la guerra. E poi ho un mio stile di vita piuttosto schivo, non ho nessuna intenzione di cambiarlo”.
Il suo tono è conciliante, le prime esternazioni di suo marito molto meno. Per esempio, anche lei giudica così orribile da dover essere abbattuta la teca dell’Ara Pacis di Meyer?
“Su Mayer non mi pronuncio, ma le parole di Gianni sono state strumentalizzate. Ha parlato di consultare i romani col referendum, non di mettere mano al piccone”.
Anche gli attori e i registi sono in subbuglio, preoccupati per la Festa del cinema.
“In campagna elettorale è stata diffusa la vulgata ‘con l’arrivo di Alemanno la cultura sarà distrutta’. È cattiva propaganda, è un nonsenso. A noi piace molto il cinema, quello italiano in particolare, che va sostenuto e aiutato. La prima sera libera dopo le elezioni siamo andati a vedere ‘Tutta la vita davanti’ di Virzì, un film molto intenso, che mi ha commosso. Anche Nanni Moretti, con l’eccezione del ‘Caimano’, è fra i miei preferiti”.
Cosa pensa dell’idea di Marcello Dell’Utri di modificare i libri di testo sul fascismo?
“Sono d’accordo. Ben poco di quel che ha raccontato De Felice è arrivato nelle scuole, a partire dalla distinzione fra fascismo come movimento e come regime. Ma bisognerebbe riscrivere in un’ottica più aggiornata anche Risorgimento e unità d’Italia”.
Lei si considera una persona di destra?
“Anche oggi il mio impianto culturale ha prevalentemente quel segno e non rinnego il passato. Credo comunque che sia molto importante, soprattutto per i giovani, avere interessi e appartenenze politiche, non importa da che parte, piuttosto che finire inebetiti dalla televisione, aspirare ai ruoli di velina o di cubista. Cerco di insegnarlo anche a mio figlio Manfredi. Che a volte mi giudica un po’ noiosa”.
Nella sua parte politica le veline godono di ottima stampa. Berlusconi continua a farle eleggere.
“Non sono d’accordo. Certo questo sistema elettorale ha il limite di scegliere le candidature dall’alto. Ma gli uomini che entrano in Parlamento non vengono esaminati al laser come le donne, sia a destra che a sinistra. Io sono comunque contenta quando una donna arriva nelle istituzioni”.
Lei non è solo moglie di Alemanno, è anche figlia di Pino Rauti, un protagonista della destra estrema. Cosa ha voluto dire nella sua vita?
“Fin da bambina ho imparato a stare sul chi vive. Allora c’erano i cortei sotto casa perché mio padre aveva un’incriminazione per la strage di piazza Fontana, da cui poi è stato pienamente assolto. Alle medie non ho potuto neanche frequentare la scuola pubblica, era troppo pericoloso. È stato un inizio duro, mi ha fatto sviluppare meccanismi di autodifesa che ancora conservo”.
Alle conferenze e ai convegni lei si presenta sempre con il cognome da ragazza.
“Sono molto legata a mio padre e non ho niente di cui vergognarmi. E poi oggi sono parecchie le donne che non rinunciano alla loro identità, e magari desidererebbero dare anche il loro cognome ai figli. Qualche tempo fa avevo sostenuto una proposta di Rosy Bindi a questo proposito”.
Com’è la vita privata con Alemanno? È maschilista, come si racconta degli uomini di destra?
“Gianni non corrisponde a quello stereotipo, altrimenti non sarei stata tanto tempo con lui. Abbiamo un progetto comune, condividiamo gli stessi valori, ci confrontiamo molto sulla politica. Le nostre discussioni sono accanite, a volte burrascose. Ma le coppie che non litigano mi sembrano mortalmente noiose”.