Atto n. 1-00325
Pubblicato il 2 marzo 2021, nella seduta n. 301
URSO , CIRIANI , BARBARO , CALANDRINI , DE BERTOLDI , DE CARLO , FAZZOLARI , LA PIETRA , MAFFONI , NASTRI , PETRENGA , RAUTI , RUSPANDINI , GARNERO SANTANCHE’ , TOTARO , ZAFFINIIl Senato,
premesso che:
il settore siderurgico costituisce un elemento imprescindibile delle attività produttive del nostro Paese ed è per questo considerato un asset strategico su cui si è costruita la competitività del sistema industriale italiano in settori di straordinaria importanza per la produzione e l’occupazione del Paese, cuore pulsante dell’intera manifattura, dalla meccanica all’auto, dagli elettrodomestici all’edilizia, dalla difesa alle ferrovie, con un fatturato totale delle imprese della sola parte alta della filiera siderurgica (utilizzatori esclusi) che si aggira tra i 60 e i 70 miliardi di euro (prima della pandemia);
l’acciaio in Italia ha una lunga tradizione industriale, caratterizzata dall’eccellenza e dalla flessibilità tipica del made in Italy che ha consentito alle imprese nazionali di mostrare grande resilienza di fronte alle sfide poste dai colossi internazionali, con capacità produttive enormemente più elevate, e ai cambiamenti del mercato legati alle diverse modalità di utilizzo dell’acciaio nei Paesi ad economie avanzate rispetto alle economie emergenti;
per queste ragioni la siderurgia italiana mantiene un ruolo di primo piano non solo nel contesto economico nazionale ma anche in quello europeo e globale, essendo la seconda potenza produttiva a livello continentale dopo la Germania e la decima a livello mondiale;
l’Italia ha quattro siti siderurgici di rilevanza nazionale a Taranto, Piombino, Trieste e Terni, tutti coinvolti in opere di ristrutturazioni tecnologiche e industriali anche al fine della necessaria salvaguardia ambientale;
a parte lo stabilimento di Trieste, di proprietà del gruppo Arvedi S.p.A., che, all’inizio del 2020, ha chiuso l’attività dell’area a caldo, auspicata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia sulla base di un accordo di programma che prevede garanzie occupazionali e notevoli investimenti di sviluppo, gli altri siti sono tutti coinvolti in opere di ristrutturazioni tecnologiche e industriali anche al fine della necessaria salvaguardia ambientale, con partner stranieri che sembrano invece riluttanti a perseguire obiettivi strategici per il Paese;
per l’ex Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, è stato firmato, il 10 dicembre 2020, dall’amministratore delegato di Invitalia e da Arcelor Mittal Holding S.r.l. e Arcelor Mittal SA un accordo di investimento che comprende tanto gli aspetti industriali quanto, e soprattutto, quelli ambientali e di sicurezza per una nuova fase di sviluppo ecosostenibile dell’acciaieria tarantina;
in particolare, l’accordo prevede un aumento di capitale di AmInvest Co Italy S.p.A. (la società in cui Arcelor Mittal ha già investito 1,8 miliardi di euro e che è affittuaria dei rami di azienda di Ilva in amministrazione straordinaria) per 400 milioni di euro, che darà a Invitalia il 50 per cento dei diritti di voto della società, mentre a maggio 2022 è programmato un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni di euro da parte di Invitalia e fino a 70 milioni da parte di Arcelor Mittal, che porterà la prima ad essere l’azionista di maggioranza con il 60 per cento del capitale della società;
l’accordo contiene un articolato piano di investimenti ambientali e industriali che prevede tra l’altro l’avvio del processo di decarbonizzazione dello stabilimento, con l’attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno nonché il completo assorbimento dei 10.700 lavoratori;
si tratta di un piano ambizioso per la cui realizzazione occorreranno oltre ai ciclopici investimenti a carico dello Stato italiano anche decenni di lavori fino a raggiungere l’obiettivo prefissato;
il 14 febbraio 2021 il TAR di Lecce ha confermato l’ordinanza del Comune di Taranto che impone ad Arcelor Mittal di chiudere entro 60 giorni la parte a caldo dello stabilimento visti i ritardi delle operazioni di ambientalizzazione e ritenendo che le emissioni inquinanti del siderurgico rappresentano un pericolo “permanente ed immanente”; la chiusura, tecnicamente di difficile realizzazione entro i termini temporali imposti, avrebbe effetti disastrosi non solo per la società ma per tutta la “filiera” italiana dell’acciaio in termini di prezzi di vendita, costi della logistica, aumento delle giacenze ed infine maggiori necessità finanziarie; per non parlare dei riflessi sull’occupazione tanto nello stabilimento quanto nell’indotto;
per gli ex stabilimenti Lucchini, il gruppo indiano JSW, titolare dell’acciaieria di Piombino, ha atteso l’ultimo giorno utile, sabato 30 gennaio 2021, per presentare la nuova bozza del piano industriale, attraverso il quale “la società intende efficientare gli impianti di laminazione e realizzare il forno elettrico in modo da completare la gamma prodotti e far tornare l’azienda ad una redditività soddisfacente” e il Ministero dello sviluppo economico ha ritenuto di rinviare la convocazione del tavolo ministeriale per esaminarlo;
il piano prevedrebbe la costruzione del forno elettrico nello stabilimento ex Lucchini così da garantire la fornitura di semiprodotti per la laminazione delle rotaie, nel lungo periodo rendendo possibile l’accordo con le Ferrovie dello Stato per una fornitura decennale di rotaie, una commessa dal valore di 900 milioni di euro, ma la latitanza del Ministero non ha premesso di valutare la fondatezza del piano, gli impegni e gli investimenti previsti, la loro congruità e tempistica, allontanando ogni ipotesi di sviluppo industriale;
con riferimento, infine, al sito ternano, l’azionista tedesco ThyssenKrupp ha pubblicamente annunciato la decisione di cedere la fabbrica Acciai speciali Terni (AST) ad una nuova proprietà o un azionista di maggioranza, senza fornire garanzie per gli investimenti in corso né rassicurazioni sul fronte dell’occupazione;
considerato che:
le gravi crisi esplose negli ultimi anni all’Ilva di Taranto, alla Lucchini di Piombino e all’AST di Terni mettono in discussione la vitalità dell’intero settore della siderurgia italiana, esponendo l’intera economia italiana a un rischio di sistema di enorme portata che non sembrano essere preso nella giusta considerazione dal Governo;
gli operatori esteri detentori dei siti siderurgici sembrano più attenti ad operare per disimpegnarsi dagli investimenti intrapresi: nel caso di Terni ThyssenKrupp ha espresso l’intenzione di voler uscire dal settore; nel caso di Taranto Arcelor Mittal ha dichiarato l’impossibilità di eseguire non solo il piano ambientale ma anche l’attività industriale dopo i provvedimenti che hanno tolto lo scudo penale, invocando persino l’esercizio del diritto di recesso; nel caso di Piombino la JSW ha atteso fino all’ultimo momento possibile la presentazione del proprio piano alimentando la tesi di coloro che sin dall’inizio hanno sostenuto che gli investimenti delle multinazionali indiane avessero l’obiettivo di eliminare un concorrente più che quello di aumentare la loro presenza in Europa;
i “casi” Ilva, Lucchini e AST continuano ad essere trattati su tavoli separati, secondo una logica emergenziale che privilegia soluzioni di breve periodo e non tiene conto delle implicazioni sistemiche delle singole vertenze;
sarebbe, invece, necessario aprire un tavolo unitario per lo sviluppo di un piano strategico che comprenda tutte le aziende del settore siderurgico con l’obiettivo di supportare l’innovazione tecnologica, per trattare unitariamente il costo dell’energia, programmare i contributi per gli investimenti ambientali, le provvidenze per il personale e per la loro riconversione professionale;
sarebbe, dunque, opportuno affrontare la frammentazione come elemento di debolezza del settore, attraverso la riorganizzazione almeno dei più importanti centri produttivi del Paese e il rilancio degli stessi in collaborazione con la filiera industriale e commerciale del settore;
considerato inoltre che:
la produzione siderurgica può essere sviluppata partendo da minerale con “ciclo integrale” (che necessita comunque di altoforno, agglomerato, cokeria, convertitori) oppure da “forno elettrico”; a livello mondiale il 70,8 per cento dell’acciaio è prodotto da altoforno e il 29,2 per cento da forno elettrico;
il “ciclo integrale” è utilizzato prevalentemente per i “prodotti piani” mentre l’elettrosiderurgia meglio si attaglia ai “prodotti lunghi”; le proporzioni sono diverse in Italia e Stati Uniti, infatti in Italia il 70 per cento dell’acciaio è prodotto da forno elettrico e il 30 per cento da altoforno, storicamente in mano pubblica; il “ciclo integrale” richiede infatti investimenti assai più elevati, finanziabili dallo Stato o da grandissime aziende mondiali, ma fornisce prodotti di alta qualità e purezza oltre a impiegare il doppio di personale del forno elettrico a parità di volume produttivo;
negli Stati Uniti l’espansione del forno elettrico è da ricercare nella presenza di un operatore (Nucor) proprietario di una specifica tecnologia che ha avuto successo in quanto assai competitiva, anche per la disponibilità a basso costo dello “shale gas” utilizzato nel ciclo elettrico anche per la produzione di DRI (arricchimento del minerale utilizzabile nel forno elettrico) in sostituzione del rottame; lo schema “Nucor” potrebbe essere lo stesso della decarbonizzazione di Taranto;
rilevato che:
nel “recovery fund” sono previste risorse significative per la transizione ad una produzione sostenibile ed ecocompatibile, dal fondo europeo per la transizione per la decarbonizzazione potrebbero arrivare le risorse (pari a circa 2 miliardi di euro) necessarie per riconvertire lo stabilimento siderurgico di Taranto e spingerlo verso il graduale addio al carbone, così come la riconversione di Piombino e l’ammodernamento di Terni;
con alcune operazioni aziendali ben definite per i siti di Taranto, Piombino e Terni potrebbe ricomporsi una “squadra” di fabbriche siderurgiche di primo piano e, accanto ad aziende con proprietà prevalentemente straniera (Jindal e Arcelor Mittal), si affiancherebbero vere e proprie eccellenze nazionali, caratterizzate dalla flessibilità basata sulla tecnologia del forno elettrico, che consente di adeguare la produzione alla domanda e all’aumentata qualità delle produzioni;
il decreto cosiddetto liquidità (decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23) ha esteso anche al settore siderurgico il golden power, il potere concesso al Governo di bloccare eventuali scalate in settori strategici per l’economia, con l’obiettivo di garantire i livelli occupazionali e la produttività; tale potere è però cessato il 31 dicembre 2020 non essendo stato prorogato dal precedente Governo,
impegna il Governo:
1) a realizzare un piano strategico per la siderurgia, che definisca nel dettaglio il fabbisogno di acciaio nel nostro Paese, le condizioni di mercato su in cui i produttori devono muoversi, prevedendo la ristrutturazione del comparto, in un’ottica di maggiore competitività, ma anche per una specializzazione sugli acciai di qualità a beneficio di filiere ad alto valore aggiunto, come l’industria elettrotecnica e la meccanica di precisione, di cui l’Italia è leader;
2) con riferimento al sito di Taranto, ad accelerare l’attuazione del piano ambientale e del piano industriale assicurandosi che Arcelor Mittal rispetti gli impegni assunti affinché lo stabilimento ex Ilva possa davvero diventare il più grande polo siderurgico green d’Europa;
3) a ricostituire lo scudo penale per il periodo di attuazione del piano alla luce degli sviluppi giudiziari in corso a Taranto, per evitare che le gravissime responsabilità del passato, che vanno sicuramente accertate e perseguite con la massima severità sul piano sia penale che civile, ricadano anche su chi invece si impegna per la salvaguardia della salute e dell’ambiente, operando la necessaria riconversione industriale e il risanamento dei luoghi;
4) a confermare il programma di investimenti previsto per la AST di Terni nel corrente anno 2021 e le prospettive di reddittività conseguenti e valutare l’impegno di Cassa depositi e prestiti o Invitalia ove fosse richiesto da operatori industriali nazionali per facilitare l’acquisizione dello stabilimento nel processo di vendita;
5) a convocare tempestivamente un tavolo per valutare la fondatezza del piano industriale presentato per l’acciaieria di Piombino, che, come emerge dalle poche notizie trapelate, appare del tutto generico e privo di garanzie per gli impegni e gli investimenti previsti, per le modalità e la tempistica, non idoneo a rassicurare sull’effettiva volontà di impegno del gruppo indiano JSW e sul mantenimento dei livelli occupazionali;
6) a prorogare l’estensione anche al settore siderurgico del golden power, con l’obiettivo di garantire i livelli occupazionali e la produttività, già previsto dal decreto liquidità (decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23) ma cessato il 31 dicembre 2020 non essendo stato prorogato dal precedente Governo;
7) a utilizzare anche le risorse del recovery fund e il ruolo propulsivo di Cassa depositi e prestiti ed Invitalia, al fine di riaffermare il ruolo strategico della siderurgia italiana in Europa, a tutela anche delle aziende private nazionali che sono all’avanguardia nel settore sia sul piano industriale sia su quello tecnologico e manageriale e che possano essere i partner industriali necessari per ogni operazione di risanamento e di rilancio.
[Fonte: www.senato.it]