Atto n. 1-00183
Pubblicato il 29 ottobre 2019, nella seduta n. 159
RAUTI , CIRIANI , BALBONI , BERTACCO , CALANDRINI , DE BERTOLDI , FAZZOLARI , LA PIETRA , RUSPANDINI , URSO , ZAFFINI
Il Senato,
premesso che:
il 25 novembre si celebra la «Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne», istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999;
i governi, le istituzioni, le organizzazioni internazionali e non governative sono invitate a organizzare, nell’ambito delle rispettive competenze, attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza di genere;
in base all’articolo 1 della Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza sulle donne del 1993, con l’espressione “violenza contro le donne” si intende «ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza è la Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, che ha riconosciuto espressamente la violenza sulle donne come forma di “violazione dei diritti umani”, oltre che come forma di discriminazione;
tale importante documento prevede espressamente che gli Stati predispongano “servizi specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione” della medesima Convenzione;
in tale contesto, particolare attenzione è stata, inoltre, riservata ai bambini che, vittime non secondarie e spesso testimoni impotenti delle violenze psicologiche e fisiche perpetrate in ambito domestico, vanno adeguatamente ed efficacemente protetti e assistiti per le sofferenze e i traumi che vivono ogni giorno e che spesso si trovano da soli a dover fare i conti con le conseguenze psicologiche dei drammi vissuti;
considerato che:
recenti dati Istat confermano che quello della violenza sulle donne, soprattutto in ambito familiare e domestico, rappresenta purtroppo un fenomeno strutturale, ancora troppo diffuso; è emerso che le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici: in particolare, delle 123 donne uccise nel 2017, l’80,5 per cento è stata uccisa da una persona conosciuta (nel 43,9 per cento dei casi dal partner attuale o dal precedente; nel 28,5 per cento dei casi da un familiare e nell’8,1 per cento dei casi da un’altra persona che conosceva); nel nostro Paese quasi una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale (Italia 27 per cento; Unione europea 33 per cento) e circa il 5 per cento ha subito uno stupro o un tentato stupro; quasi il 20 per cento delle donne è stata vittima di stalking (Italia e Unione europea: 18 per cento); il 38 per cento ha subito violenze psicologiche da un partner o ex partner (Unione europea: 43 per cento);
i dati che vengono raccolti a livello ufficiale costituiscono, tuttavia, una parte molto più ristretta rispetto al dilagare del fenomeno nel nostro Paese; come stimato infatti dall’EIGE (European Institute of Gender Equality- Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere), le cifre proposte a livello ufficiale restituiscono un quadro ampiamente sottostimato rispetto all’entità effettiva del fenomeno;
a fronte di tale situazione drammatica, non va sottovalutato un ulteriore dato allarmante: secondo stime diffuse da alcune organizzazioni di volontariato operanti nel settore, infatti, solo tra il 2000 e 2014 sarebbero stati circa 2000 gli orfani di femminicidio, per la maggior parte tra i 5 e i 14 anni (l’84 per cento dei ragazzini era presente al momento dell’uccisione o del ferimento del genitore, l’81 per cento aveva una precedente storia di violenza assistita e il 57 per cento non ha ricevuto alcun tipo di sostegno psicologico), 500 dal 2017;
secondo quanto emerge, poi, dal recente report “I centri antiviolenza” diffuso dall’Istat, nel 2017 si sono rivolte ai centri antiviolenza 43.467 donne (15,5 ogni 10.000 donne); il 67,2 per cento ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10.000) e tra le donne che hanno iniziato tale percorso, il 63,7 per cento ha figli, minorenni nel 72,8 per cento dei casi; tali Centri, che costituiscono di fatto il fulcro della rete territoriale della presa in carico delle vittime di violenza, offrono molteplici servizi: dall’accoglienza (99,6 per cento) al supporto psicologico (94,9 per cento), dal supporto legale (96,8 per cento) all’accompagnamento nel percorso verso l’autonomia abitativa (58,1 per cento) e lavorativa (79,1 per cento) e in generale verso l’autonomia (82,6 per cento); meno diffusi, il servizio di sostegno alla genitorialità (62,5 per cento), quello di supporto ai figli minori (49,8 per cento) e quello di mediazione linguistica (48,6 per cento); l’82,2 per cento dei centri effettua la valutazione del rischio di recidiva della violenza sulla donna;
in ogni caso, risulta ancora insufficiente l’offerta dei centri antiviolenza, tanto più se si considera l’obiettivo indicato nella legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 (legge 27 giugno 2013, n. 77) che era quello di avere un centro antiviolenza ogni diecimila abitanti (si è calcolato che al 31 dicembre 2017 sono attivi nel nostro Paese 281 centri antiviolenza, rispondenti ai requisiti dell’Intesa Stato, Regioni e Province Autonome del 2014, pari a 0,05 centri per 10.000 abitanti);
dall’analisi condotta si evince, altresì, il permanere di una serie di disparità a livello territoriale, con riferimento a plurimi parametri; in particolare si è rilevato che «i modelli organizzativi regionali sono molto diversi tra loro. In alcuni territori il coordinamento è prevalentemente gestito dagli ambiti socio-sanitari e dai comuni, soprattutto al Nord, in altri invece è affidato alla Prefettura, raramente alle regioni. Molti CAV del Sud e delle Isole, nonché del Lazio e di parte dell’Emilia Romagna hanno modelli di coordinamento eterogenei»; ulteriori divergenze riscontrate attengono principalmente ai costi sostenuti;
benché il nostro Paese, nel corso degli ultimi anni, si sia mosso nella direzione di un significativo rafforzamento delle politiche di contrasto e di prevenzione del fenomeno delle violenze di genere (anche intervenendo sull’ordinamento penale), va tuttavia rilevato che il fenomeno è ancora ampiamente diffuso e permangono evidenti e preoccupanti differenze territoriali nella capacità ed efficacia delle risposte istituzionali fornite (in termini anche di servizi offerti alle vittime) e che, in ogni caso, le risorse finanziarie complessivamente stanziate fino ad ora sono comunque insufficienti, oltre che, in alcuni casi, addirittura indisponibili;
in particolare, la legge 11 gennaio 2018, n. 4, ha introdotto una serie di misure in favore degli orfani per crimini domestici, quali l’accesso al gratuito patrocinio, l’assistenza medico-psicologica, il sostegno allo studio e all’avviamento al lavoro, il diritto a una quota di riserva nelle assunzioni; inoltre, ha esteso il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti anche alla copertura degli interventi in favore degli orfani per crimini domestici (erogazione di borse di studio, iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l’inserimento nell’attività lavorativa); la dotazione del predetto fondo è stata, dunque, incrementata (almeno formalmente) di 2.000.000 euro annuali a partire dal 2017 (di tale somma, almeno il 70 per cento deve essere destinata agli interventi in favore dei minori, mentre la restante parte ai figli maggiorenni economicamente non autosufficienti);
ad oggi, tuttavia, le previste misure di sostegno non sono ancora operative considerato che mancano i decreti attuativi; la determinazione, infatti, dei criteri e delle modalità per l’utilizzazione delle citate risorse, che comunque vanno assolutamente incrementate, era demandata ad un successivo regolamento ministeriale che doveva essere, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge,
impegna il Governo:
1) ad assumere tutte le opportune iniziative di competenza al fine di rendere pienamente operative le misure di sostegno e protezione delle vittime di violenza di genere e degli orfani per crimini domestici, anche attraverso la tempestiva emanazione dei necessari provvedimenti attuativi, con particolare riferimento alla legge 11 gennaio 2018, n. 4;
2) a promuovere ogni azione di sensibilizzazione, comunicazione, formazione e educazione finalizzata alla prevenzione di tutte le forme di violenza nei confronti delle donne (fisica, psicologica, sessuale, lavorativa ed economica) e alla diffusione di stili di vita improntati al rispetto delle differenze di genere;
3) ad adottare strategie efficaci per garantire alle vittime di violenza e ai loro familiari livelli di tutela e di assistenza omogenei su tutto il territorio nazionale, anche al fine di eliminare le molteplici disparità regionali nell’offerta dei servizi;
4) a proseguire nell’implementazione degli strumenti di monitoraggio e rilevamento dei diversi casi di violenza di genere e di femminicidio, anche al fine di potenziare la capacità di intervento e di azione comune dei diversi livelli istituzionali coinvolti, nonché favorire l’emersione di questo tipo di reati;
5) ad incrementare, già a partire dalla prossima legge di bilancio per il 2020, le risorse finanziarie destinate alle politiche di prevenzione e di contrasto di ogni forma di violenza contro le donne e di promozione di un’effettiva parità di genere, nonché di sostegno e assistenza alle vittime e ai loro familiari.
[Fonte: www.senato.it]