In occasione del decimo anniversario della Conferenza internazionale del Cairo (13 settembre 1994) su popolazione e sviluppo, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ha redatto il suo Rapporto su “Lo stato della popolazione nel mondo” – la cui edizione italiana è stata curata da AIDOS, Associazione italiana donne per lo Sviluppo – che si presenta come un bilancio programmatico e che si offre come occasione per elaborare nuove strategie e lanciare nuove sfide.
Il Rapporto presenta, infatti, i risultati di un censimento delle azioni intraprese e dei progressi compiuti in questo decennio; ne emerge un quadro di luci ed ombre in cui vengono denunciate le carenze e definite le priorità da qui al 2015, anno fissato come traguardo per raggiungere gli obiettivi stabiliti nel 1994, rispetto al Programma d’Azione del Cairo che analizza l’intrecciato rapporto fra lotta alla povertà, ambiente, popolazione e sviluppo.
Il Programma è stato sottoscritto dai governi di 179 paesi che si impegnarono ad investire 17 miliardi di dollari entro il 2000, 18,5 miliardi entro il 2005, 20,5 miliardi entro il 2010 e 21,7 miliardi entro il 2015; i paesi donatori si impegnarono anche ad erogare un terzo degli investimenti previsti, mentre i paesi in via di sviluppo promisero di coprire i restanti due terzi. In questi dieci anni i finanziamenti per aiuti allo sviluppo sono diminuiti, sia in linea generale che specifica di quelli finalizzati alla realizzazione del Programma d’azione.
Il decennale offre lo spunto anche per rinnovare l’impegno: i paesi donatori – infatti – hanno dato solo circa la metà degli importi che erano stati concordemente ritenuti necessari per attuare il Programma d’Azione; 3,1 miliardi di dollari all’anno a fronte dei 6,1 miliardi di dollari all’anno che erano stati garantiti entro il 2005. Quindi, a fronte di esigenze crescenti sono stati donati soltanto la metà degli stanziamenti promessi e previsti. E le sfide da affrontare restano tantissime: le migrazioni dalle aree rurali dei paesi in via di sviluppo verso le città (entro il 2007 metà della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane); l’incremento demografico e l’elevato consumo
delle risorse che aumentano la pressione sull’ambiente a livello globale (deforestazione, scarsità d’acqua, diminuzione delle terre coltivabili); la diffusione delle malattie e, principalmente, la pandemia dell’HIV/AIDS; le carenze nell’offerta di servizi ed il problema dell’accesso; l’aumento della povertà.
Nonostante i significativi progressi conseguiti, la risposta della comunità internazionale a queste sfide resta inadeguata e, dopo lo slancio iniziale seguito ai lavori del Cairo, si è registrata una situazione quasi stazionaria. Eppure, con il suo approccio integrato e di sistema, che declina insieme popolazione e sviluppo, ambiente, uguaglianza di genere, salute riproduttiva, diritti umani, il Programma d’Azione del Cairo continua a rappresentare un punto di riferimento per le iniziative sullo sviluppo del prossimo decennio. Inoltre, i recenti impegni delle Nazioni Unite e dei donatori sulle strategie di riduzione della povertà e gli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo (Vertice del Millennio delle Nazioni Unite, settembre 2000), rappresentano lo snodo di fondo per compiere quel necessario salto di qualità della volontà politica e per realizzare in pieno gli accordi del Cairo. Considerato, anche, che la Conferenza del Cairo “ha modificato – si legge nel Rapporto – radicalmente l’approccio della comunità internazionale ai problemi interconnessi della popolazione e dello sviluppo, mettendo al centro dell’equazione gli esseri umani ed i loro diritti, piuttosto che i numeri e i tassi di incremento demografico”. Il cuore di questo mutamento di paradigma è stata una nuova percezione del problema: la popolazione ha smesso di essere essenzialmente una variabile macroeconomica e si è diffuso un nuovo approccio basato sui diritti, in cui il fattore chiave è il benessere di tutti gli individui. Lo sviluppo – insomma – non viene più interpretato in termini restrittivi di crescita economica, basata su una piattaforma che comprendeva investimenti, negoziati commerciali, costruzione di infrastrutture e aiuti monetari. L’interpretazione è estensiva e comprende questioni quali l’equità, l’uguaglianza di genere, la salute, l’istruzione, lo stato dell’ambiente. Si è radicata la consapevolezza che popolazione, povertà, modelli di produzione e di consumo ed ambiente sono un intreccio che richiede un approccio di sistema. Si tratta di un significato pratico del concetto di sviluppo centrato sulla persona umana:il vero sviluppo deve migliorare la vita delle persone. Inoltre, lo sviluppo è sostenibile – compatibile con l’ambiente e con le risorse disponibili – solo sé fondato sul riconoscimento delle realtà sociali e culturali locali.
La Conferenza del Cairo non solo ha contribuito ad aprire la strada agli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo ma ha anche inaugurato una fase cruciale della politica della cooperazione allo sviluppo; le organizzazioni non governative sono la struttura portante di molti programmi in diverse parti del mondo ed hanno esercitato un ruolo fondamentale nell’attuazione degli accordi del Cairo, con livelli inediti di partecipazione al dibattito intergovernativo, caratterizzato anche dal coinvolgimento di altri soggetti ed organizzazioni della società civile e dalla partnership con il settore privato.
Dopo anni di cooperazione tra Nord e Sud del mondo, caratterizzata da molte luci ma anche da dense ombre, si apre una fase nuova nelle strategie multilaterali e nei programmi di sviluppo; bisogna sposare l’ottica secondo la quale non basta versare ai Paesi in Via di sviluppo aiuti economici, concepiti in termini di assistenzialismo e paternalismo. La vera solidarietà non vuole generare dipendenza e passa attraverso la creazione di strumenti concreti che avviino quei Paesi all’autosufficienza; la loro autosufficienza non nasce con l’imposizione di modelli di sviluppo eco-incompatibili ma con la costruzione di modelli autocentranti e sostenibili dal territorio e, anche, non distorsivi ma rispettosi delle tradizioni locali, delle identità e delle biodiversità. Modelli di sviluppo ispirati a criteri di sostenibilità sociale, economica ed ambientale e processi di sviluppo che ruotino intorno all’affermazione ed alla difesa dei diritti umani e che siano rivolti, di fatto, a combattere le piaghe della fame, della povertà, dell’assenza di servizi e non a perseguire obiettivi produttivistici lontani dalle esigenze e dai diritti fondamentali dei popoli. Soltanto attivando processi di sviluppo imperniati sui diritti umani possiamo cogliere la sfida lanciata dalla globalizzazione, nel tentativo di governarla e di dirigerla; nella convinzione che la globalizzazione selvaggia produce povertà, consolida le sperequazioni, rafforza le disuguaglianze e favorisce il degrado ambientale, tali condizioni aggravano la dipendenza dal sistema degli aiuti e delle importazioni dai Paesi più ricchi e sviluppati, generando un circolo vizioso.
Isabella Rauti