L’importanza di un’Istituzione “vicina” per la realizzazione concreta dei progetti a sostegno delle donne malate di tumore.
L’Istituzione può fare molto ma non può niente se non lo fa insieme al mondo associativo o comunque a tutti quegli interlocutori che a vario titolo sono coinvolti e sono interessati.
Maria Rosaria, che parla poco ma fa molto e per me è la prova di tutto questo e nel tempo mi è stata maestra. Lei è entrata nel mio ufficio, allora ero Capodipartimento al Ministero per le Pari Opportunità per raccontarmi il Progetto della Libreria dell’Anima e da allora, grazie a lei e solo a lei, le Istituzioni presso le quali ho lavorato, prima al Ministero e poi al Consiglio regionale del Lazio hanno avuto il privilegio di poter fare qualcosa di concreto. Senza le sue indicazioni probabilmente questo non sarebbe accaduto: questo per dire che ci vuole un impegno da entrambe le parti. Io mi sono fatta guidare da lei, ho fatto Mozioni e Proposte di Legge sulla materia, sempre guidata dalle sue indicazioni e da tutto questo percorso che poi grazie a lei è cominciato. Tra gli eventi c’è stata la Libreria dell’Anima a Napoli, le maratone, le squadre di canottaggio delle donne operate al seno, molti convegni che abbiamo fatto insieme, questo fantastico libro e anche un mondo nel quale poi mi sono immersa che è quello del filmato di Muccino che abbiamo visto, e che, come anche questo libro, trovo sia un atto assolutamente lodevole che donne che hanno attraversato e vissuto l’esperienza del tumore, invece che chiudersi in sé stesse e cercare di dimenticare, si siano messe al servizio di altre donne, di altre persone e raccontando la loro storia, ne fanno un insegnamento esistenziale.
Questo libro serve a dare coraggio a chi magari oggi non ce l’ha perché sta attraversando la malattia.
Questo libro serve a dire che il tumore si può vincere e a dire “Tu, che oggi ti trovi in questa fase puoi vincere” , quindi è estremamente importante quello che viene da coraggio di queste donne, ed io conoscendole, ho capito che cos’è la forza femminile, è la capacità di rovesciare completamente la prospettiva, cioè rispetto al male invece che soccombere e lasciarsi andare, costruire ogni giorno una volontà di vittoria come un atleta si allena per vincere ed arrivare primo e prendere la medaglia. E’ lo stesso meccanismo, fatto con molta dignità, con molto silenzio. Soprattutto però è una battaglia personale e quotidiana, abbiamo intitolato anche queste pagine “Eroine del quotidiano” perché questo sono. Significa sconfiggere la rassegnazione in ogni minuto quando il problema di presenta, e si ripresenta, perché le fasi sono difficili come sono state descritte e raccontate.
Io ritengo che si debba investire in termini di prevenzione, in termini di ricerca, in termini di conoscenze, in termini di sinergie tra impegno istituzionale ed associativo ma soprattutto io penso che quello che deriva da questo libro è veramente un percorso, che ha anche un effetto contagioso perché quando poi ti trovi al cospetto di queste donne…perché magari è facile parlare quando teorizzi se però hai vissuto l’esperienza del tumore sulla tua pelle e dentro di te, naturalmente questo è non solo più difficile ma l’insegnamento che ne emerge è sicuramente più incisivo.
Penso anche sia necessario cambiare non solo la prospettiva nell’attraversare la malattia ma sia anche necessario cambiare la prospettiva che abbiamo nei confronti di questa malattia e delle persone che sono malate. Io credo che sia necessario intanto ammirare questo coraggio e poi dobbiamo proprio rivoluzionare anche i percorsi, anche i protocolli a riguardo.
In Regione stiamo cercando di adeguare gli aspetti delle unità regionali a quanto l’Europa ci indica, perchéin realtà chi poi si deve confrontare con i bisogni medici scopre che ci sono molti protocolli, c’è disomogeneità, c’è un’offerta diversa da punto di vista regionale, cioè tutte questioni che andrebbero messe a sistema anche nel rispetto dei diritti fondamentali del malato che sono diritti della persona.
Di fronte a queste storie io mi sento investita di una responsabilità; non ci si può limitare a fare la mozione o la proposta di legge, vorresti fare molto di più, vorresti che chi decide veramente riuscisse a rispondere a queste esigenze diffuse.
Penso anche che un approccio diverso sia necessario perché noi potessimo guardare alla persona malata nel momento di crisi con una struttura che la accompagna.
Non va poi dimenticato l’aspetto preventivo, da sostenere, e c’è soprattutto l’ aspetto di percorso di cure; Maria Rosaria racconta del progetto della Liberia dell’Anima, di questo ambiente inclusivo e domestico dove le persone malate possono affrontare le cure con un senso non solo di dignità ma anche di inclusione e di accettazione, di continuità anche con l’area familiare. E poi c’è anche il “dopo”.
Il “dopo” è forse l’aspetto più dimenticato perché una donna che affronta questa avventura, che si sottopone a quelle cure, che avvia la sua battaglia personale per sopravvivere, per vincere e per rinascere, nel “dopo” si trova spesso in crisi nel rapporto di coppia, si trova a dover cambiare le sue abitudini, si trova a dover cambiare la sua alimentazione, si trova a dover riconsiderare la sua esistenza, e rischia di dover fare tutto ciò in una completa e totale solitudine.
Il “dopo”, cioè la presa in carico del paziente nella via di guarigione, deve essere una presa in carico totale e soprattutto io penso che dopo l’aspetto strettamente medico-sanitario subentri l’aspetto socio-sanitario, sul quale meno si investe, perché si ritiene che l’emergenza sia passata e quindi ci si dimentichi, e non si è neanche apprezzati né dal punto di vista delle Istituzioni né dal punto di vista, secondo me, della percezione e della sensibilità, e si dovrebbe passare dunque ad una presa in carico socio-sanitaria della persona che sta affrontando questo cammino.
Questa catena umana femminile di solidarietà, di chi ha vinto la malattia, serve anche a tutti noi per ricordare che c’è anche un “dopo” e che c’è bisogno di un approccio diverso, libero anche da alcuni pregiudizi rispetto alla malattia, più inclusivo, più socio-sanitario, non direi “meno medico” direi però più “da abbraccio” che da medicina, e nell’abbraccio si devono mettere tanti elementi che devono creare un sistema.
Penso che questo percorso che Maria Rosaria ha insieme a tante persone, tante amiche e tanti testimoni che hanno messo a disposizione di questo progetto quello che hanno: il loro lavoro, la loro passione le loro possibilità, io credo che sia un disegno, una geometria assolutamente vincente, perché lei è riuscita a mettere insieme in questa stessa geometria non solo sensibilità diverse, Istituzioni e ruoli diversi e ognuno però da parte sua, collabora allo stesso identico progetto: includere chi sta attraversando l’avventura, chiamiamola così, e la possiamo chiamare così perché l’avventura è qualcosa dalla quale cui si esce, che poi si supera, qualcosa che però in questo caso ti ha modificato.
Il figlio di Maria Rosaria ha scritto un contributo bellissimo che mi ha colpito perché questo bambino racconta di aver sentito per la prima volta parlare di tumore a 14 anni e penso a questi adolescenti che si devono confrontare con un mare che è inimmaginabile e poi i genitori sono esenti da malattie nell’immaginario dei bambini, sono immortali e sono sani. Vedere una mamma che sta male è contrario anche a un ordine naturale. Allora io ho cercato di immaginare questo bambino di 14 anni che si deve confrontare con la notizia e poi con la malattia. Questo bambino è diventato più grande, molto più grande dei suoi coetanei probabilmente, e lui dice: “Mia madre mi aveva sempre difeso e coperto con un perfetto silenzio”- esattamente quello che ogni madre finché può fa- e poi nel momento in cui non può più, e si sente magari anche in colpa di non poter mantenere il silenzio, invece lui dice che si è sentito “orgoglioso di sapere”, e quindi poterci essere.
La frase che più mi ha colpito, come madre e come donna , al momento che lui capisce che cosa c’è dietro dice: “Io ho assistito alla rinascita di una donna. E questo è un evento unico”. Siccome le donne sono quelle che assistono alla nascita dei loro figli, insieme ai padri, ma in un rapporto rispetto alla nascita che è, dal punto di vista naturale, diverso; un figlio che assiste alla rinascita di una madre è una cosa, come lui dice, unica. Ed è veramente una cosa straordinaria.
Tutte queste donne raccontano in modo diverso e uguale storie di rinascita.
Quindi a donne che ce l’hanno fatta, che hanno preso a pugni, qui si dice, perché è un malattia che va presa con pazienza ma con energia, sono tutte donne che vogliono essere per le altre una sorta di mentori, vogliono aiutare, vogliono creare quella che è, come dicevo, una linea invisibile di amore per la vita e di solidarietà.
Io penso che ognuno da parte sua deve fare la sua parte. Io la mia piccola parte cercherò di farla sempre seguendo le indicazioni di Maria Rosaria in termini di interventi legislativi ma anche di sostegno a tutto il mondo associativo, tutto quello che conosco in questo settore e di cui non posso che apprezzare l’impegno.
Io penso che ognuno di voi che è qui e ognuno di noi che questo libro magari lo consiglierà, lo regalerà o semplicemente racconterà, Io conosco delle donne che hanno scritto questo libro, e lo hanno scritto perché lo hanno vissuto, penso che ognuno di noi potrà svolgere un effetto di contagio, che non è poco, ed anche in un mondo virtuale come questo, qui al Salone di Torino si celebra la primavera tecnologica e il mondo virtuale, non ci deve scoraggiare perché il “contagio” passa attraverso la parola, attraverso la stretta di mano, passa attraverso le parole che il cuore sa dire. Grazie.