La rappresentanza femminile nei luoghi delle decisioni politiche:
QUELLA MAGGIORANZA CHE RESTA MINORANZA
Marzo 2009
In Italia le donne sono oltre la metà degli aventi diritto di voto, ma non sono mai riuscite a superare la quota di un quarto delle persone elette.
Le donne in Italia hanno potuto esercitare il diritto di voto attivo e passivo soltanto nel 1946 e, nelle elezioni politiche di “quel” ’46 furono molte le candidature femminili e le elette nella prima legislatura furono il 6,3% del Parlamento nazionale; il 7,7% nel 1948.
Nel corso degli anni, la percentuale delle elette al Parlamento non ha avuto un andamento lineare , rimanendo – comunque – nella media del 7% – 9% (a parte il minimo storico del 2,8% nel 1963 e nel 1968), fino alla XI legislatura e salendo alla quota del 15% (XII legislatura) a seguito dell’effetto positivo della legge del 1993, che inserì l’alternanza di uomini e donne fra le condizioni di accettabilità delle liste dei candidati alla Camera dei deputati per il 25% da eleggere con il sistema proporzionale.
Successivamente, l’interpretazione restrittiva dell’art. 51 della Costituzione ha creato un ostacolo all’aumento della presenza femminile alla Camera dei Deputati; nelle legislazioni seguenti (dalla XIII alla XV) le donne sono diminuite superando di poco l’11% di tutti i deputati .
E’ solo nel 2003 con la modifica dell’articolo 51 della Costituzione (“tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”) che la rappresentanza delle donne in Parlamento riprende a crescere. In questa legislatura le donne sono il 21,3% alla Camera e il 18% al Senato.
I dati attuali, anche se sono i più alti raggiunti dall’Italia nelle legislature, a livello internazionale posizionano il nostro Paese solo a al 52° posto su 188 nazioni al pari della Cina (21,3% di donne nel Parlamento) dietro a Paesi come l’Argentina o Cuba (sopra il 40%), Spagna, Germania e Nuova Zelanda con oltre il 30% e la Svizzera e il Portogallo con il 28%. E, ancora, queste percentuali di rappresentanza femminili sono lontane rispetto alla soglia del 30% – stabilita dalla Commissione ONU sulla Condizione femminile già nel 1990 – considerata come quota minima ai livelli nazionali affinché le donne possano avere un peso a livello decisionale.
La pratica elettiva ha – dunque – sessant’anni, ma non li dimostra; né nella presenza delle donne nelle Istituzioni politiche né nella loro partecipazione alla politica.
Il ritardo storico registrato nell’ottenimento del diritto di voto femminile continua, nel nostro Paese, a produrre i suoi effetti anche nella distanza; e – si sosteneva prima – sessant’anni non li dimostra, né nella presenza delle donne nei luoghi istituzionali della politica (ancor meno, poi, nei vertici decisionali) ma neanche nella partecipazione femminile alla vita politica ed al sistema dei Partiti.
Per quanto riguarda la presenza delle donne nelle Regioni a inizio 2009 la presenza femminile nelle Giunte e nei Consigli regionali superava di poco il 12%; mentre per quanto riguarda i Comuni si nota come nei ruoli politici, come quelli dei sindaci, la presenza delle donne sia molto bassa (l’9,8%) per aumentare quando invece conta la professionalità o il ruolo tecnico, come nel caso dei commissari, posizione nella quale le donne sono il 34% del totale.
Inoltre, sempre a livello comunale si nota, dall’indagine di Forum PA “Osservatorio Donne nella PA” che costruisce un indice sintetico della rappresentanza femminile, che in quelle città regioni dove il sindaco o il governatore è una donna, anche il resto della amministrazione ha un alto livello di donne nei consigli.
Infatti, degli otto Comuni capoluogo con un sindaco donna, 5 sono su valori superiori alla media e ben due, Pavia e Genova, tra le prime cinque. Ugualmente ben posizionati i Comuni con un presidente del consiglio donna, quasi tutti al di sopra del valore medio.
Analogamente per le Regioni. Le due Regioni con un governatore donna (Piemonte e Umbria) si attestano entrambe su valori superiori alla media, il Piemonte è addirittura secondo nella classifica generale. Ugualmente l’Emilia Romagna, che ha un presidente del consiglio donna, rientra tra le prime cinque.
Anche nel panorama internazionale l’Italia non spicca per la rappresentanza femminile nei luoghi delle decisioni pubbliche. Si cita un solo indicatore, quello della parità di genere (GEI) per il periodo 2004-2008.
L’Italia è al 70° posto sui 157 paesi analizzati. Inutile dire che la prima nazione per “minor divario tra donne e uomini” è la Svezia, seguita da Finlandia, Norvegia, Germania a dimostrazione di come il livello di ricchezza di un Paese non sia indice di uguaglianza di genere. Dopo l’Italia vi sono Paesi come Bolivia, Botswana, Bielorussia, nessun Paese europeo. Lo studio comparativo ci segnala come le strategie di successo risiedano nell’esistenza di politiche attive come ad esempio i regolamenti per l’uguaglianza nel mercato del lavoro.
Ma, in linea generale la situazione a livello europeo non è sempre positiva. Gli organismi europei “esprimono profondo rammarico per il fatto che, nonostante un gran numero di dichiarazioni e raccomandazioni politiche, programmi d’azione adottati in tutto il mondo e specifiche normative introdotte a livello nazionale, ancora persistano in Europa e in tutto il mondo ineguaglianze e discriminazioni di genere e una sottorappresentanza delle donne nella politica” e sottolinea come la “scarsa presenza delle donne in politica privi gli Stati di un potenziale umano prezioso”, tanto per citare una frase tratta da una risoluzione del Parlamento europeo. Il tema della rappresentanza, infatti, è affrontato anche dalla Road Map che delinea il percorso verso la parità e dedica una delle sei aree di intervento proprio alla promozione delle pari opportunità delle donne e degli uomini al processo decisionale. La sottorappresentanza, ormai cronica, delle donne viene considerata un deficit democratico e richiede diverse iniziative tra cui il sostegno di attività di sensibilizzazione e scambio di pratiche in previsione delle elezioni del Parlamento europeo nel 2009.
Per monitorare il divario tra donne e uomini l’Unione Europea ha voluto istituire, a Vilnius, l’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, uno strumento essenziale per la circolazione di informazioni, per lo scambio di buone pratiche e per l’ufficialità che conferisce a traguardi raggiunti e nuove sfide in materia di parità e pari opportunità. Le azioni dell’Istituto si dispiegano su quattro linee direttive: risoluzione del problema dei ruoli legati al genere, promozione delle partecipazione femminile ai processi decisionali, abbattimento della disparità retributiva ed assistenza nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Lo sappiamo tutti, infatti, che una delle cause della scarsa partecipazione delle donne ai centri decisionali e di governo è spesso legata alle difficoltà di conciliare vita privata e vita professionale, all’ineguale ripartizione delle responsabilità familiari, nonché alla discriminazione sul lavoro e nella formazione professionale.
Seguendo queste piste di lavoro negli anni 2005 – 2007, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha promosso la realizzazione di un percorso formativo volto ad avvicinare ed interessare le donne alla vita attiva delle istituzioni. L’obiettivo del progetto denominato “Donne, politica e istituzioni”, è stato quello di fornire un insieme di conoscenze, in parte teoriche ed in parte pratiche per diffondere la cultura di genere. Inoltre, il progetto ha voluto promuovere l’affermazione e la partecipazione nella vita politica e sociale delle donne, che rappresentano un patrimonio prezioso di risorse umane nel nostro Paese.
L’offerta formativa ha insistito sulle conoscenze attinenti al funzionamento di determinati meccanismi istituzionali, politici e di governance. Lo scopo è stato quello di avvicinare ed interessare alla politica tutte le donne indipendentemente dall’età e dal fatto che svolgessero o meno un’attività lavorativa.
E’ necessario ridurre la distanza tra i cittadini e le cittadine e la politica,anche attraverso una maggiore diffusione delle informazioni che riguardano il mondo delle istituzioni; è necessario rendere consapevoli i giovani e le giovani dell’importanza del voto e degli strumenti che si hanno per poter agire la democrazia; è importante affrontare il deficit di democrazia dell’Italia, costituito dalla sottorappresentanza femminile e capirne le motivazioni di fondo.
Nella consapevolezza che non si tratta di una “questione di donne” ma di una questione di cittadinanza e, soprattutto, di democrazia compiuta e di parità sostanziale .