Ingrid Betancourt ha una grazia ed un’eleganza innate che neppure i sei anni e mezzo di prigionia hanno potuto cancellare. La incontriamo nella sede del Ministero per le Pari Opportunità, dove arriva subito dopo aver ricevuto dal Presidente della Camera, on. Fini, il premio annuale “Pellegrino di Pace” e, prima di partire per Firenze, dove sarà protagonista della XII edizione del Meeting dei Diritti Umani, che quest’anno ha assunto particolare rilievo per la concomitanza con il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
E, la Regione Toscana ha deciso di conferire alla Betancourt il prestigioso premio del “Pegaso d’Oro”, occasione per ribadire il sostegno della Regione alla candidatura di Ingrig Betancourt al Premio Nobel per la pace 2009, per il quale è stato costituito un comitato internazionale presieduto da Rita Levi Montalcini.
La sua presenza di oggi, ci ricorda la sua prigionia di ieri ; Ingrid Betancourt è un’icona femminile ed un simbolo della battaglia contro le violazioni dei diritti umani. Ambasciatrice non solo di tutti coloro che sono stati sequestrati in Colombia, molti dei quali restano nelle mani dei rapitori, ma anche testimonianza della lotta in difesa della dignità della persona, contro la corruzione ed il narcotraffico e le sue organizzazioni criminali.
Disinvolta ed intensa, la Betancourt emoziona! Le sue parole, sempre pacate ma fermissime danno immediatamente la sensazione precisa di essere davanti ad una persona intelligente, coraggiosa e determinata; esile e dall’aspetto apparentemente fragile, questa donna ha dimostrato una forza straordinaria di resistenza durante il sequestro nella giungla colombiana, da parte delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).
Molte cose di lei colpiscono a prima vista, oltre – naturalmente – l’incredibile storia personale che la precede; anche quel rosario che porta legato al polso destro – confezionato artigianalmente da lei stessa durante la prigionia, utilizzando i bottoni ed i fili di una giacca – simbolo del percorso spirituale e religioso che l’ha aiutata a sopravvivere.
Ma andiamo per ordine. Ingrid Betancourt è nata a Bogotà il giorno di Natale del 1961. Il padre è stato ministro dell’educazione e, la madre, ex Miss Colombia, senatrice; studia e si sposa a Parigi, dove si è trasferito il padre, ambasciatore della Colombia all’UNESCO.
Torna in Colombia poco dopo l’uccisione di Luis Carlos Galan, il candidato alla presidenza colombiana e, nel 1989, decide di dedicarsi all’attività politica e di candidarsi alle elezioni;viene eletta prima alla Camera (1994) e poi al Senato (1998).
Nel 2002, si candida alle elezioni presidenziali e, durante la campagna, Ingrid Betancourt decide – insieme alla sua vice Clara Rojas – di andare nella zona, ormai smilitarizzata, di San Vincente del Caguan per poter incontrare le FARC. E’ il 23 febbraio, quando viene fermata nell’ultimo avamposto militare ma decide di proseguire verso il territorio controllato dalle FARC e viene rapita..
Le FARC chiesero come riscatto, uno scambio: 60 ostaggi politici per la liberazione di 500 prigionieri delle Farc; il Governò rifiutò. Nell’agosto 2004, anche sotto la spinta delle proteste dei famigliari dei rapiti e dell’opinione pubblica internazionale, il governo decide di riprendere le trattative per lo scambio dei prigionieri, che si concludono con un nulla di fatto.
Il 2 luglio 2008, con un blitz militare ad opera delle forze armate colombiane, Ingrid Betancourt viene liberata, insieme ad altri prigionieri, tra cui tre soldati americani ed undici soldati colombiani.
E nessuno di noi può scordare le prime immagini dopo la liberazione, la Betancourt che scende da un aereo della Fuerza aerea colombiana sulla pista della base militare di Toleimada, con una maglietta grigia sotto un gilet mimetico ed il cappellino che copre i lunghissimi capelli, raccolti in una treccia fermata da un fiocco bianco. Le sue prima parole: “Ringrazio Dio ed i soldati della Colombia”.
Un blitz, a lungo preparato e non un rilascio concordato o una delle trattative di scambio di cui si era fatto tramite, nei mesi precedenti, il presidente venezualano Hugo Chavez; ha vinto la linea dura del presidente colombiano Uribe, che ha sempre rifiutato di accettare le condizioni dei guerriglieri per la liberazione degli ostaggi. .
Il presidente Sarkozy ha voluto che fossero i due figli della Betancourt , Melanie, Lorenzo e la sorella Astrid, a dare la notizia: li ha convocati all’Eliseo e ha organizzato una conferenza stampa in cui i ragazzi hanno voluto ringraziare tutti per il sostegno e la forza ricevuti nei lunghi del sequestro.
I due figli, lasciati adolescenti e ritrovati quasi adulti, cui Ingrid scrive – durante la prigionia – lettere che non riceveranno mai, tranne quelle dodici pagine del 24 ottobre 2007 che vengono ritrovate durante l’arresto di alcuni guerriglieri a Bogotà, che sono la prova dell’esistenza in vita dell’ostaggio e che vengono pubblicate nel febbraio 2008, con il titolo “ Lettera dall’Inferno a mia madre e ai miei figli” (Garzanti).
E’ la lettera di una donna prigioniera, privata di tutto, che scrive appassionatamente alla madre e, che non riesce ad elaborare il lutto della morte del padre Gabriel, scomparso durante il sequestro della figlia. E’ la lettera di una madre che scrive, nel gelo della notte e dopo marce nella giungla, e si rivolge ai figli cercando parole di normalità, incitandoli agli studi ma non solo “…cercate di salire più in alto possibile. Studiare vuol dire crescere…perché è un’esperienza umana…crescere per mettersi al servizio degli altri”.
I terroristi delle Farc che hanno sequestrato Ingrid Betancourt – e che tengono prigionieri ancora molti ostaggi – sono una organizzazione militare fortemente gerarchizzata; di ideologia comunista ma priva di qualsiasi progettualità politica, che si mantiene con i riscatti e con la commistione con il narcotraffico. Odiati dalla popolazione colombiana e dal mondo intero, i guerriglieri delle FARC, si nascondono nella giungla, reclutando nei villaggi, giovanissimi, uomini e donne, che vivono nella povertà, nel disagio sociale e nel degrado; la cui unica prospettiva è quella di diventare, per i ragazzi, piantatori di coca e, per le ragazze, prostitute. Li strappano dalle loro famiglie, gli promettono guadagni che non avranno, li indottrinano ed i capi militari esercitano pressione e controllo psicologico sulle truppe. Le guerrigliere, reclutate anche a 14 e 15 anni, non possono avere figli, non possono avere contatti con la famiglia d’origine e sono oggetto sessuale dei comandanti e delle truppe.
Dai racconti della Betancourt emerge l’idea che una sconfitta militare delle Farc non sia sufficiente per estirpare il fenomeno e, che la soluzione passi attraverso un processo di politiche sociali che diano ai giovani colombiani delle prospettive e delle alternative, delle possibilità concrete di vivere dignitosamente e di avere un lavoro retribuito.
Il mondo intero si è mobilitato per Ingrid Betancourt ed oggi, lei, si muove per gli altri; ha cominciato a fare politica perché odiava la corruzione del suo Paese, ora la sua azione è fuori dal sistema politico e si esercita nell’idea del servizio. Oggi, Ingrid Betancourt è ambasciatrice di diritti, con la Fondazione che porta il suo nome (ora presente anche in Italia con sede legale a Milano e, presto, con sede operativa a Roma) e che è ben riassunta nel suo Logo: una mano che, sollevata sopra un filo spinato, restituisce la libertà ad una farfalla, che si trasforma in una stella.
Tra i primi progetti della Fondazione, il “Progetto Calamar”, dal nome del villaggio della Regione del Guaviare, una zona, da cui provengono molte guerrigliere e guerriglieri, arruolati dalle FARC; per la costruzione di un Centro – supportato dai Salesiani, molto presenti in Colombia – di formazione e di orientamento al lavoro, con laboratori artigianali. La Fondazione ha, inoltre, progetti di sostegno economico per accompagnare i giovani nel conseguimento dei titoli di studio e per favorire l’accesso all’Università .
Quando ci lascia, Ingrid Betancourt ci saluta con un sorriso e si poggia la mano stesa sul cuore. Lo facciamo anche noi. Oggi, con una nuova consapevolezza e rinnovate promesse.
Isabella Rauti