I followers come sostituto gratificante di un ego vittima di sottostima, nonostante i successi, gli amori, gli amanti, il denaro. Quando il malessere incombe, ci chiediamo umilmente, non sarebbe meglio affidarsi agli amici in carne ed ossa oppure allo psicoterapeuta, piuttosto che rigettare tutto in Rete?
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C’è la morte di Oliver, il cane di Antonella Clerici che lei, legittimamente, piange come fosse il suo “primo” figlio (la seconda, in questo caso sarebbe Maelle, una deliziosa bambina che il prossimo 21 febbraio compirà 9 anni) ma c’era stata anche, poco prima, la separazione a mezzo stampa di Elisabetta Gregoraci dal ricchissimo marito Flavio Briatore. Poi, ci sono le foto su Instagram di Elena Santarelli che si fa immortalare abbracciata al marito Bernardo Corradi per rassicurare i followers: insieme stanno affrontando la malattia del figlio che ci auguriamo si concluda con una splendida guarigione.
O ancora ecco Ambra Angiolini, legata sentimentalmente a Massimiliano Allegri che – mentre l’Italia del gossip sospetta di una sua nuova gravidanza – fa gli auguri di compleanno (14) alla figlia Jolanda pubblicando su Instagram una foto della pupa in fasce. Donne in piazza, dunque, nel mercato virtuale del web dove va di moda l’auto certificazione della notizia soprattutto da parte della cosiddetta altra metà del cielo. Niente di grave, diciamolo subito. Perfino Bertolt Brecht in Poesie & canzoni sosteneva che, ogni tanto, bisogna porsi interrogativi solo apparentemente futili del tipo “chi cucinó la cena della vittoria, dove andarono a dormire i muratori la notte che fu terminata la grande muraglia?”. Dettagli di non poco conto soprattutto se parliamo di un autobiografismo internettiano di genere femminile.
Ma le differenze si notano, eccome. C’è chi esonda mescolando vero, verosimile, proposta/ protesta o chi, invece, usa il web con stile pure se deve ammettere un grave dolore come il tradimento amoroso. Due giorni fa a scendere in campo per sgombrare il campo dai pettegolezzi sul suo matrimonio ormai al capolinea, è stata Isabella Rauti, donna della politica di destra (quasi estrema) moglie di Gianni Alemanno, mamma di Manfredi, il loro unico figlio. Dopo che i settimanali hanno pubblicato le foto dell’ex sindaco di Roma in versione “fidanzatino di Peynet” accanto alla nuova, giovane compagna Silvia, la Rauti ha spiegato chiaramente come stavano le cose. Erano ancora sposati, lei & Alemanno, quando lui ha iniziato la relazione con l’attuale fidanzata, anzi Isabella era in missione umanitaria all’estero. Non è stata una mossa di gran classe, ma il destino di quell’unione era già segnato. Divisi dalla politica che un tempo li univa, gli Alemanno si separano ed Isabella esce di scena senza ombre ma in punta di piedi. Per una che ha avuto come padre Pino Rauti, l’autobiografismo finisce con una sola intervista concessa a Maria Corbi su la Stampa, retwittata in tutte le forme del web dove ē stata, manco a dirlo, cliccatissima.
Esemplare, la Rauti; più discutibili, le altre. Ma da dove arriva questo exploit di confidenze “rosa” in rete? La Rete, come osserva Graziella Falconi nel volume “Oh bimbe!” (Memori editore) dedicato ad Adriana Seroni, intellettuale, parlamentare del Pci e responsabile dal 1968 al 79 delle donne di Botteghe Oscure, ha operato ai giorni nostri, un rovesciamento totale, consumando addirittura una vendetta nei confronti di quelle ragazze del secolo scorso (Nilde Jotti, Giglia Tedesco o Marisa Rodano) di cui nel Partito comunista era in uso depositare note biografiche scarne: una data, una carica, elementi essenziali rigorosamente connessi ai fatti, come nei rapporti di polizia. Ieri, delle donne che hanno attraversato la contestazione studentesca, l’autunno caldo, lo stragismo, il compromesso storico, la solidarietà nazionale, la crisi monetaria, il terrorismo, la questione morale o il declino della prima Repubblica, si sapeva solo della loro dimensione pubblica.
Se il “personale” diventava automaticamente “politica”, era necessario mantenere un pudore rispetto a fatti minuziosamente privati come il rapporto con i figli, i cani, i divorzi, le gravidanze, i matrimoni o le malattie. Nel Pci, lo ricorda la stessa Falconi, desta scandalo l’autobiografia di Teresa Noce (Rivoluzionaria proletaria, edizioni Teti), ex moglie di Luigi Longo per il solo fatto che ella l’abbia scritta, non perchē ci fosse in quel testo qualcosa di scabroso. Ogni dettaglio, all’epoca, svelava una fragilità che poteva diventare nel partito comunista di allora, una potenziale colpa. Per tutti, vale il caso di Aida Tiso, una ex partigiana veneta che, confidando la tragica morte di un figlio, fu tacciata nella sua bio di “debolezza”.
Di contro, compiendo un salto storico fino all’alba del ventennio berlusconiano, l’autobiografismo femminile si amplia, ma resta sul tono dell’enfasi, della comunicazione positiva, costruita esclusivamente su eventi già noti, mai tragici. Se non puoi dare una buona notizia, allora taci, era il motto del Cavaliere. Altri tempi, dicono gli storici della materia, il web non esisteva, funzionava soltanto il sistema dei giornali o della radio-tv.
Adesso, soprattutto negli ultimi anni, il racconto o l’auto racconto delle donne ē esploso. Donne della politica, della tv, dell’economia affidano ai social network ogni sospiro testimoniando – fra selfie o immagini posate – perfino la quotidianità meno nobile. Meglio o peggio? Graziella Falconi fornisce una risposta intelligente allegando al suo libro in memoria della Seroni, 11 storie di donne che negli ultimi anni hanno ricoperto ruoli di responsabilità nella sinistra italiana o nelle istituzioni, annotando come le suddette, sorvolino spesso sulle vicende personali. Non ci sono confidenze di amori falliti o di separazioni folgoranti ma é assente anche il male di vivere che invece attraversa l’autobiografismo femminile contemporaneo.
Quelle donne, pur senza sfogarsi in rete, hanno trovato una soluzione: si dedicano ai frutteti, ai nipoti o all’insegnamento continuando ad amare (ed a fare) la politica. Queste donne d’oggi, al contrario, restano al bivio. La scrittura per loro finisce per essere forse terapeutica. I followers come sostituto gratificante di un ego vittima di sottostima, nonostante i successi, gli amori, gli amanti, il denaro. Quando il malessere incombe, ci chiediamo umilmente, non sarebbe meglio affidarsi agli amici in carne ed ossa oppure allo psicoterapeuta, piuttosto che rigettare tutto in Rete?
[Fonte: notizie.tiscali.it]